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AMBIENTE E SICUREZZA
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Inquinamento acustico e risarcimento del danno alla persona: un caso di studio
( Articolo di Silvano di Rosa e di Mauro del Sordo 04.08.2004 )

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Amletica inquietudine: meglio il trapano del dentista o il rumore del suo compressore ? (§)
Nota a commento della sentenza T.A.R. Puglia, Sez. I Bari, 26 settembre 2003, n. 3591


Silvano Di Rosa (*)
(Avvocato - Consulente Legale Ambientale - Esperto A.N.E.A.)

Mauro Del Sordo (**)
(Tecnico competente in acustica ambientale – M.R.T.)


Sommario:

Premessa; – 1. I fatti accaduti; – 2. Presunta mancanza di un corretto contraddittorio; – 3. Corretta posizione di misura; – 4. Impugnazione del verbale di contestazione-accertamento; – 5. Entità del superamento dei limiti; – 6. Utilizzabilità di una ordinanza contingibile ed urgente; – 7. Conclusioni.


Premessa

Per chi non ha da spartire pareti o solai con un attiguo studio dentistico, la scelta è indubbiamente tanto ovvia quanto scontata: il dolore causato dal trapano (per quanto oggi esistano sistemi e cautele che lo riducono) è certamente uno spauracchio temuto dai più! Tutti – a fronte del tormento arrecato, dal “temuto strumento”, sulla propria dentatura – sarebbero pronti a dichiararsi affatto preoccupati per il problema della rumorosità connessa e scaturente dall’impiego di tale apparecchiatura “nel suo complesso”1; ritenendo tale “scoppiettio” una cosa trascurabile rispetto all’anzidetta “tortura”.

Quando, viceversa, si abita a diretto contatto2 con uno studio dentistico (ma, ovviamente, tutto questo vale ancor più per qualsiasi altra attività che possa costituire fonte di rumore) non v’è alcun dubbio sul fatto che l’angolo visuale e, soprattutto, l’opinione del diretto interessato – che venga interpellato al riguardo – cambi in maniera, a dir poco, radicale. Se non altro per il fatto che il “rumore” lo si percepisce3 tutti i santi giorni lavorativi dell’anno4, mentre invece il “dolore” – derivante dall’azione diretta del trapano sugli incisivi, canini, molari, premolari e chi più ne ha ne metta –, tutto sommato, lo si prova soltanto qualche volta nella vita (ovviamente ciò vale per i più fortunati !!).

Si tratta, quindi, di mettere a confronto l’intensità di una possente, dolorosa, temporanea e – fors’anche – occasionale, sensazione fisica sgradevole, con la costante, martellante, ossessiva e deprimente sottoposizione – “non desiderata” – ad una rumorosità prodotta da altri. Situazione, quest’ultima, che implica non solo una reale esposizione ad agenti fisici, ma anche delle malaccette inquietudini psichiche, evolvibili, fra l’altro, in vere paranoie.


La questione, in apparenza, può sembrare banale – se non addirittura grottesca – ma, tanto per dimostrare il contrario, è proprio un caso del genere ad esser divenuto oggetto di ricorso giurisdizionale di fronte al Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, Sede di Bari, Sez. I. In tale contesto, il giudice di primo grado – pronunciandosi definitivamente con sentenza 3591 del 2003 – ha preso posizione sul ricorso n. 1664 del 2000, dichiarandolo, in parte, improponibile e, per il resto, rigettandolo; lasciando così del tutto indenne il provvedimento sindacale impugnato.

Riguardo ai fatti, sarà sufficiente fornirne un conciso sunto – facendo rimando, per il resto, al dettagliato testo della sentenza che viene riportata in calce al presente lavoro –; mentre invece, per quanto concerne i contenuti più rilevanti della questione, riteniamo di poter prendere spunto da questi, per affrontare, in maniera specifica, alcune particolarità che, ciclicamente, ricompaiono5 in questo genere di contenziosi.

1. – I fatti accaduti

A seguito dell’esposto di un cittadino (da questo momento qualificato: “il lamentante”), l’organo di controllo tecnico – territorialmente competente – ha effettuato un sopralluogo presso la di lui abitazione; ciò al fine di accertare quale fosse il livello, ivi percepibile, della rumorosità proveniente dallo studio dentistico situato nel sovrastante appartamento.

In un secondo momento, il dentista, veniva edotto – dallo stesso organo di controllo tecnico – circa il fatto che gli accertamenti fonometrici effettuati superavano i valori limite differenziali di immissione, di cui all’art. 4, comma 1, del D.P.C.M. 14/11/1997 – violazione punita ai sensi dell’art. 10, comma 2, della legge 26/10/1995, n. 447 –; palesando, fra le altre cose, la possibilità di pagare, in misura ridotta, la sanzione amministrativa prevista per legge ed in tal sede quantificata (pari all’equivalente in euro di 2.000.000 del vecchio conio).


Il dentista, a tal punto, chiedeva la revoca della sanzione amministrativa, lamentando una presunta violazione del principio del contraddittorio (scaturente, a suo avviso, dall’aver eseguito dei rilievi fonometrici senza fornirne preavviso al diretto interessato: lui stesso).

Il comune di Bari, con ordinanza sindacale, stigmatizzava come la rumorosità prodotta dal compressore, utilizzato dall’anzidetto studio dentistico, non potesse considerarsi compatibile con il limite differenziale di immissione imposto dal D.P.C.M. 14/11/1997; ritenendo altresì che l’inquinamento acustico, in tal modo determinato, potesse risultare di grave pregiudizio6 alla salute pubblica. Con tale provvedimento veniva imposto, al responsabile dello stesso studio, di porre in essere misure tecniche ed organizzative per l’abbattimento delle emissioni rumorose prodotte dal citato compressore per quanto utilizzato per finalità odontoiatriche .


Il dentista esperiva ricorso al TAR – divenendo, in tal modo, ricorrente – impugnando: ? l’ordinanza sindacale; ? il verbale di sopralluogo ed accertamento stilato dall’organo di controllo tecnico; ? il sopralluogo e la rilevazione fonometrica eseguita; nonché ? il separato verbale di contestazione-accertamento con cui era stata irrogata la sanzione amministrativa.

Il Comune di Bari, costituitosi in giudizio, confutava gli addebiti mossi dal ricorrente e precisava, fra le altre cose, come gli accertamenti fonometrici – per prassi – vengono necessariamente eseguiti, almeno una volta – in prima istanza –, con modalità discreta (e quindi senza preavviso), al fine di monitorare le normali ed effettive condizioni di funzionamento e di emissione della sorgente sonora presa in esame; precisando altresì come, nel caso di specie, il ricorrente fosse stato tempestivamente reso edotto dei risultati dei rilievi; informandolo, oltretutto, circa la facoltà di poter far intervenire persona di propria fiducia. Proprio come, di fatto, si è puntualmente verificato; avendo potuto, il dentista, partecipare – grazie a tale modalità procedurale – al completamento degli accertamenti tecnici di rumorosità, anche per il tramite di propri consulenti.

Il TAR ha rigettato l’istanza di sospensione proposta in via incidentale dal ricorrente.

Il cittadino lamentante si è costituito in giudizio chiedendo il rigetto del ricorso.

2. – Presunta mancanza di un corretto contraddittorio

Lasciando da parte la cronistoria degli eventi e limitandoci ai motivi di ricorso di nostro interesse, possiamo considerare interessante la palesata nullità dell’accertamento fonometrico (effettuato dall’organo di controllo tecnico) e del relativo verbale, per presunta violazione dell’art. 2237 del D.Lgs. 28 luglio 1989, n. 271 – in relazione all’art. 24, comma 28, Cost. –, oltre che per violazione ed errata applicazione sia dell’art. 2, lettere e) ed f)9, della legge 26 ottobre 1995, n. 447, sia degli artt. 14 e 1510 della legge 24 novembre 1981, n. 689.

E’ su tale scorta, d’altronde, che il ricorrente ha sostenuto l’illegittimità derivata dell’ordinanza sindacale, lamentando che l’autorità ispettiva – artefice delle misurazioni di rumore – avrebbe dovuto fornire “per tempo”, allo studio dentistico, l’avviso dell’ora e del luogo di effettuazione dei rilievi fonometrici successivamente contestati; tanto da consentire l’instaurarsi di un “corretto contraddittorio”, ivi compresa la possibilità di potervi presenziare ed esercitare “a pieno” il proprio diritto di difesa costituzionalmente tutelato (Vds. nota 8).

Fra le altre cose11 il ricorrente contesta anche che i rilievi fonometrici siano stati eseguiti solo vicino ai ricettori (l’appartamento del lamentante), omettendone l’effettuazione in prossimità della sorgente di rumore (lo studio dentistico stesso); ma…. di questo vedremo nella sezione successiva.


Entrando nel merito della questione – consistente nella pretesa del dentista di essere preavvertito sul giorno e l’ora del controllo – è possibile, in primo luogo, rilevare che – nel caso di specie – se è vero, com’è vero, che le misure sono state effettuate una prima volta «in modalità “discreta”» (quindi all’insaputa del dentista), è altrettanto vero che, successivamente, sono state eseguite anche «in modalità “controllata”»; quindi, con la piena collaborazione del ricorrente. Tanto che questi ha, addirittura, acconsentito a spegnere il compressore per il tempo necessario alla verifica, ed ha altresì potuto – in un secondo momento – partecipare al completamento degli accertamenti, avvalendosi delle prestazioni di propri consulenti di fiducia. E’ così che, nella realtà degli atti, si difende il comune di Bari.


A dire il vero quest’ultima argomentazione difensiva (dell’ente locale) ci interessa fino ad un certo punto, perché, se anche non fosse stato consentito al dentista di partecipare al completamento dell’indagine, la sua pretesa – sopra descritta – risulterebbe ugualmente inaccettabile. Invero, appare consolidato l’orientamento secondo cui la particolarità tipologica degli accertamenti di cui trattasi (rilievi fonometrici), presuppone necessariamente che gli stessi vengano eseguiti – almeno una volta – senza preavviso; al fine di consentire il monitoraggio di quelle che possono qualificarsi come “normali condizioni di funzionamento e di emissione sonora” delle apparecchiature, la cui rumorosità tipizza il contesto acustico divenuto oggetto di verifica.

Ma non basta, in quanto è giusto osservare come il procedimento – conclusosi con l’ordinanza sindacale del comune di Bari – abbia avuto inizio sol quando sia stata accertata “in concreto”, da parte dell’ente locale, l’esigenza di prendersi cura dell’interesse pubblico perseguito. Pertanto, si dimostra evidente come tale avvio non potesse considerarsi già concretizzato in un momento precedente a quello in cui l’amministrazione comunale – a seguito del rapporto dell’organo di controllo – ha avuto conferma della effettiva sussistenza della situazione di inquinamento acustico denunciata dal lamentante. Ne consegue che il rapporto dell’organo di controllo tecnico non può esser visto se non come un mero atto prodromico, costituente il presupposto per l’apertura del procedimento amministrativo (inesistente prima di questa). In altre e poche parole, non appare affatto infondato chiedersi: «come si poteva pretendere, in tal senso, di essere ammessi a partecipare ad un procedimento non ancora avviatosi ?»

Tutto questo è conforme - come fondatamente argomenta l’amministrazione comunale e ribadisce il TAR Puglia – alla stessa ratio della disciplina vigente in tema di partecipazione al procedimento amministrativo (ivi compreso anche quello di irrogazione delle sanzioni amministrative ex-legge n. 689/1981); sulla cui scorta non v’è alcun dubbio che sia consentito anteporre – al procedimento stesso – dei controlli, degli accertamenti e/o ispezioni, svolti “ovviamente” senza la partecipazione del diretto interessato. Tanto da dover considerare del tutto legittimo che quest’ultimo venga ad esserne informato con una “successiva” comunicazione; ugualmente idonea a porlo nella condizione di intervenire e partecipare alla procedura – a quel punto certamente avviatasi –, tanto da poter verificare e, se del caso, contestare la veridicità o l’esattezza degli accertamenti compiuti, od anche l’idoneità degli strumenti tecnici utilizzati, ecc.12

Se volessimo avvalersi delle deduzioni tipiche di un particolare filone13 della giurisprudenza, non ci verrebbe neppure impedito di poter sostenere, nel caso in cui ricorrano quelle «ragioni di impedimento derivanti da particolari esigenze di celerità del procedimento»14, che il provvedimento sindacale – con cui si ordini la cessazione di attività rumorose eccedenti i limiti di tollerabilità consentiti – possa essere adottato senza neppure la preventiva contestazione e/o contraddittorio con l’interessato; ma torniamo alla realtà in esame.


Il giudice di primo grado, nella sentenza di cui trattasi, ha giustamente ritenuto insussistente qualsiasi violazione del diritto alla difesa dello studio dentistico. Posizione da condividere senz’altro, dal momento in cui è del tutto sufficiente che al titolare dell’attività rumorosa siano forniti tutti i dati relativi alle misurazioni effettuate; in maniera che questi – direttamente o per interposta persona – possa rimettersi, ricreandole, nelle stesse identiche condizioni di misura, per poter procedere a sua volta ad eventuali e successive verifiche o controlli, in base ai quali fondare il proprio irrinunciabile diritto di difesa.

3. – Corretta posizione di misura

Le misurazioni di rumore finalizzate alla verifica dei valori limite differenziali di immissione (e ciò vale anche per quelli assoluti) debbono essere effettuate “in prossimità dei ricettori”15! Appunto per questo appare del tutto inutile la pretestuosa contestazione avanzata dal responsabile dello studio dentistico – come accennato in precedenza –, circa il fatto che i rilievi di rumorosità siano stati effettuati “solo” vicino ai ricettori (l’appartamento del lamentante) e non anche in prossimità della sorgente (lo stesso studio dentistico). Secondo la vigente normativa sarebbe stato possibile far valere tale pretesa solo e soltanto nel caso in cui l’organo di controllo stesse provvedendo alla verifica del rispetto dei valori limite assoluti di emissione16. Trattandosi, viceversa, di una verifica del rispetto di valori limite di immissione, l’eccezione non ha alcun pregio e si svela come meramente pretestuosa.


Con l’occasione pare conveniente ricordare che, nelle misure all'interno di ambienti abitativi, il microfono della catena fonometrica deve essere posizionato a 1,5 m dal pavimento e ad almeno 1 m da superfici riflettenti; eseguendo il rilevamento sia a finestre aperte che chiuse, al fine di individuare la situazione più gravosa. Nella misura a finestre chiuse, il microfono deve, altresì, essere posto nel punto in cui si rileva il maggior livello della pressione acustica17.


4. – Impugnazione del verbale di contestazione-accertamento

L’azione difensiva del ricorrente si è spinta fino a veder direttamente impugnato il separato verbale di contestazione/accertamento, con cui era stata irrogata la sanzione amministrativa. Il TAR, a tal proposito ha correttamente rilevato, in via preliminare, un difetto assoluto di giurisdizione dell’autorità giurisdizionale (sia essa ordinaria, che amministrativa). Difatti, non si può sottacere come detto verbale scaturisca dalla riscontrata violazione dell’art. 4, comma 1, del D.P.C.M. 14 novembre 1997; punita – ai sensi dell’art. 10, comma 2, della legge 26/10/1995, n. 447– con una sanzione amministrativa pecuniaria, sottoposta in toto alla disciplina generale della legge 689/1981. Come tale, il caso di specie, è del tutto estraneo ed esula assolutamente dal regime speciale previsto dal codice della strada; in forza del quale è previsto – unico nel suo genere – che il “processo verbale di accertamento dell’infrazione” possieda una potenziale attitudine a divenire titolo esecutivo18, tanto da giustificarne l’immediata opposizione in sede giurisdizionale. Si tratta però di un caso singolare, che differisce da quanto comunemente previsto per le altre e diverse violazioni (depenalizzate); le quali risultano soggette all’anzidetta disciplina generale ex-legge 689/1981.

Non sembra possibile trovare una salda alternativa a quanto affermato dal Giudice amministrativo pugliese: il verbale di accertamento dell’infrazione, nel caso di specie ed in via generale – quantunque contenga l’invito ad effettuare il pagamento in misura ridotta ai sensi dell’art. 16 della citata legge dell’81) – è effettivamente privo della potenziale efficacia di titolo esecutivo, non essendo – appunto per questo e di per sé – direttamente impugnabile in sede giurisdizionale19.

Un indomito elemento di verifica e conforto ci viene offerto dalla Corte Costituzionale20, la quale ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 16, 18 e 22 della legge n. 689/1981, in riferimento agli artt. 3, 24, 25 e 113 Cost.. La Consulta ha rimarcato come tale questione poggi su un presupposto erroneo, consistente nel fatto che – in via generale – il verbale di contestazione-accertamento per violazioni per le quali sia prevista solo una sanzione amministrativa pecuniaria:

costituisce meramente il primo atto di un procedimento amministrativo;

non è, di per sé, immediatamente lesivo di posizioni del soggetto cui viene attribuita la violazione;

non costituisce in alcun modo titolo esecutivo per il pagamento, dovendo sempre e in ogni caso intervenire “a tal fine”21 una ordinanza-ingiunzione (o, diversamente, una ordinanza di archiviazione);

non arreca alcuna compressione del diritto alla tutela giurisdizionale né lesione del principio di eguaglianza (in ragione di come i procedimenti, ed anche gli effetti, scaturenti dai verbali di accertamento per violazioni del codice della strada siano diversi da quelli riconducibili ai verbali di contestazione-accertamento di carattere generale).

In coerenza con quanto appena detto22, anche nel caso in cui il “sanzionato” non si sia avvalso della facoltà di presentare osservazioni, scritti difensivi e/o documenti nell’ambito del procedimento amministrativo concernente il verbale, ciò non lo fa decadere dalla possibilità di rivolgersi, in un secondo momento, al giudice naturale precostituito per legge; il quale potrà essere liberamente adito, ma solo una volta che – e soltanto se – intervenga un vero e proprio provvedimento amministrativo, qualificabile come “lesivo”: l’ordinanza ingiunzione ex art. 1823 legge 689/81.

Quanto sopra esposto integra, di per sé, elemento sufficientemente fondante l’improponibilità della domanda di annullamento, direttamente posta dal ricorrente avverso il verbale di contestazione-accertamento dell’organo di controllo tecnico. In tal senso, appunto, si è espresso il TAR della Puglia.

5. – Entità del superamento dei limiti

Nel contesto dei motivi di ricorso richiamati nella sentenza in esame, si evince il tentativo – del ricorrente – di sostenere come un superamento del limite differenziale, pari ad 8 dB, dimostri che l’immissione di rumore sia modestissima; tanto da azzardarsi a qualificare del tutto ingiustificata – ad avviso di questi – l’adozione di una ordinanza contingibile ed urgente. Una tale affermazione fa “sgranare gli occhi” e “drizzare i capelli” a chiunque; sol tenendo conto che il valore limite differenziale di immissione per il periodo diurno è pari a 5 dB, e che, pertanto, il rumore ambientale rilevato (quindi la rumorosità misurata in presenza della fonte disturbante) superava di ben 13 dB il rumore residuo misurato in assenza della fonte disturbante.

A tal riguardo il TAR Puglia sostiene che l’art. 4, comma 1, del D.P.C.M. 14/11/1997 non riconosce all’Amministrazione comunale il potere di distinguere – nell’ambito delle immissioni che superano i limiti previsti dalla normativa di riferimento – il grado di intensità delle immissioni stesse, al fine di provvedere o meno all’adozione delle misure necessarie al loro abbattimento entro la soglia di tollerabilità; così come rileva – sempre il Giudice pugliese – il pieno rispetto, nel caso di specie, nel disposto di cui al comma 2 del citato art. 4 D.P.C.M. 14/11/199724, concernente l’eventuale mancanza delle condizioni considerate come soglie di applicabilità del differenziale; atteso che la documentazione tecnica predisposta dall’organo di controllo dimostra il superamento/rispetto delle stesse.


A nostro avviso,però, esistono realmente ulteriori e fondati elementi, in base ai quali – visto un superamento di 8 dB del valore limite differenziale di immissione diurno – la rumorosità presa in esame, non può essere assolutamente essere qualificata come un’immissione modestissima. A tal riguardo, tuttavia, è essenziale premettere alcune osservazioni di carattere generale.


In primo luogo è doveroso ricordare che il suono nasce dalla vibrazione di corpi elastici e, analogamente, si propaga attraverso la vibrazione delle particelle di materia, diffondendosi nel mezzo di trasmissione – sia esso solido, liquido, aeriforme, ma non nel vuoto – sotto forma di onde oscillatorie. Onde che, raggiungendo l'orecchio, ne fanno vibrare la membrana sensibile del timpano, generando un segnale che viene quindi inviato al cervello; dove il segnale si traduce nella nostra percezione del suono. Si tratta quindi della diffusione di energia meccanica – normalmente in un fluido – per onde sinusoidali di oscillazione (generate da un corpo in vibrazione) propagantesi25 in tutte le direzioni alla velocità di 331,8 m/s, (in aria a 0°C). Ne consegue che il suono può definirsi: un fenomeno psico-acustico26, inteso come perturbazione vibratoria in un mezzo elastico (gassoso, liquido o solido), senza trasporto di materia, ma di sola energia.

Mutatis mutandis, il rumore deve necessariamente considerarsi come un fenomeno acustico – dovuto al sommarsi di un indefinito numero di suoni elementari – che presenta caratteristiche tali – sia come qualità, sia, soprattutto, come intensità – da produrre una sensazione uditiva “sgradevole”; tanto da risultare indesiderato, fastidioso o, addirittura, dannoso per la salute.


Le due caratteristiche più importanti per la valutazione di un suono (sia esso gradito o sgradito) sono l’ampiezza27 e la frequenza28. Quando si “chiacchiera” di rumore, capita, fra le altre cose, di riferirsi all’ intensità sonora29, alla sorgente di rumore, alla potenza sonora30, alla sensazione sonora, alla pressione sonora 31ed al suo livello, ecc. ecc..

Con particolare riguardo a quest’ultimo, bisogna tener presente che il suono più debole rilevabile dall’orecchio umano è pari a “20 milionesimi di Pascal” (quindi 20 microPa)32; anche se poi tale variazione di livello di pressione sonora è talmente piccola che la membrana del timpano del nostro orecchio subisce uno spostamento inferiore al diametro di un atomo. Ciononostante – in maniera quasi antitetica – l’orecchio umano riesce a tollerare33 pressioni sonore di un milione di volte più elevate. Da ciò risulta scontato – potendosi imbattere in un simile range di grandezze – che, se misurassimo il suono in Pascal o in microPascal, sarebbe necessario dover lavorare con numeri enormi e difficilmente utilizzabili. Ci sono più modi per risolvere tale problema.

Tutti noi sappiamo che per misurare una «quantità» occorre avvalersi, in ogni caso, di una scala standard di riferimento; che non venga semplicemente fissata, ma sia anche universalmente accettata e riconosciuta34. Il problema di trovarsi a dover misurare quantità che sono molto più piccole – ma il dilemma si pone anche quando sono tanto più grandi – rispetto a quelle “di riferimento”, può essere “comodamente” risolto utilizzando dei prefissi standard35. Si tratta di un sistema molto conveniente che – avendo a che fare con ordini di grandezza molto diversi fra loro – può anche divenire indispensabile.

Per quanto riguarda il rumore36, nonostante che anche per esso – come negli altri casi cui si è fatto poc’anzi riferimento – la gamma di valori a cui ci dobbiamo necessariamente riferire é molto grande, é stata scelta una soluzione completamente diversa. Si é preferito utilizzare un sistema di misura a scala non lineare, ma logaritmica. Vediamo il perché.

La ragione deriva dal fatto che l'intensità sonora assoluta non è per niente facile da misurare, così che si preferisce ricorrere alla misura dell'intensità relativa di un suono; detta anche livello sonoro, misurato in “decimi di Bell” (dB). Il dB (deciBel) è un' unità, senza dimensioni, che indica il logaritmo in base 10 del rapporto tra la pressione sonora del suono in esame ed una pressione di riferimento. A dire il vero, il dB non è una vera unità di misura, bensì un modo per esprimere una misura. In ogni caso il vantaggio derivante da tale impiego consiste nella notevolissima riduzione della scala di valutazione del rumore – in base alla pressione –, potendo, in tal modo, comprimere l’intera gamma dei rumori in un range compreso tra 0 e 140 dB (senza dover ricorrere a cifre a 6 o 7 zeri).

Ecco la ragione per cui il livello di pressione sonora é espresso in scala logaritmica. Ma non si tratta soltanto di un modo pratico per "comprimere" i possibili valori di rumorosità e poterne dare un riscontro più leggibile e maneggevole a chiunque; perché esiste anche un’altra ragione altrettanto valida. Il campo dinamico dell’udito umano è molto ampio, così che si preferisce esprimere i parametri acustici come logaritmo del rapporto tra valore misurato (p) ed un valore di riferimento (pari alla più piccola pressione in grado di produrre una sensazione sonora). La scala in dB – logaritmica –, infatti, è quella che (rispetto alla scala lineare in Pascal) riesce a dare un’approssimazione migliore per la percezione umana dell’intensità sonora relativa; non riuscendo, l’orecchio umano, ad avvertire la variazione di livello di pressione sonora – in dB – come una variazione proporzionale di percezione sonora. Sarebbe veramente assurdo trascurare o sottovalutare che la sensazione uditiva soggettiva non corrisponde linearmente all’ampiezza di un suono (essendo essa molto più vicina al logaritmo della variazione relativa fra due livelli di pressione sonora), ed il farlo non porterebbe ad ottenere alcun vantaggio; quindi meglio tenerne conto!

Per questa ragione, quel valore di 20 microPa – che si è visto essere il suono più debole che l’orecchio umano possa percepire – non fa altro che divenire il corrispondente valore di 0 dB (soglia dell’udito); definibile come nostra “pressione sonora di riferimento”, in contrapposizione al valore massimo di 140 dB (soglia del dolore) che caratterizza il culmine della scala logaritmica di cui trattasi.

Quindi, niente scala lineare (come si avrebbe se utilizzassimo i microPascal: microPa); preferendo ad essa una scala diversa e più ridotta (logaritmica), che consente l’uso di grandezze molto più “pratiche” ed attinenti!

A dire il vero, ci sarebbe anche da rilevare che una valutazione qualitativa dei suoni, basata esclusivamente su dati oggettivi (quali i livelli di pressione sonora alle diverse frequenze), non potrebbe considerarsi valida ai fini di un riscontro in termini di sensazione sonora. Solitamente, per simulare la risposta in frequenza dell’orecchio umano, occorre computare la ponderazione introdotta dall’apparato uditivo – in funzione della frequenza – attraverso la cosiddetta «scala di ponderazione “A”37»; cui competono le necessarie correzioni che, in genere, fanno optare per l’utilizzo del dB(A) invece del dB. Ma questa sarebbe una questione che ci porterebbe eccessivamente “fuori strada” rispetto al tema che ci siamo prefissati di trattare.


Con la sottostante tabella sono state poste a diretto confronto una scala logaritmica38 ed una scala lineare 39, indicanti entrambe dei livelli di pressione sonora fra loro corrispondenti (tabella –1 –).

SEGUE>>>>>

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