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Cooperative edilizie e requisiti dei soci

Consiglio di Stato , sez. IV, decisione 21.05.2004 n° 3318

La sentenza del Consiglio di Stato risulta di particolare interesse, in quanto contribuisce a fare chiarezza nel settore delle cooperative edilizie per quanto attiene ai piani per l’edilizia economica e popolare.


R E P U B B L I C A I T A L I A N A

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) ha pronunciato la seguente

D E C I S I O N E

sul ricorso in appello n. 8833 del 1994, proposto dal Comune di Tagliacozzo, in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dall’avv. Giancarlo Di Mattia, elettivamente domiciliato presso lo studio del medesimo in Roma, Via Largo di Torre Agentina, n. 11.

C O N T R O

L. Concetta, L. Francesca, V. Uliana, V. Maria, V. Francesco, N. Vesperina, rappresentati e difesi dall’avv. Armando Casella, elettivamente domiciliati presso lo studio dell’avv. Piero Paolo Lettieri, in Roma, Via Pasubio, n. 2.

E NEI CONFRONTI DI

Cooperativa edilizia V., in persona del Presidente in carica, non costituita in giudizio.

Regione Abruzzo, in persona del suo Presidente in carica, non costituito in giudizio.

PER L'ANNULLAMENTO

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per l’Abruzzo, l’Aquila 30 maggio 1994, n. 451.

Visto il ricorso con i relativi allegati.

Visto l’atto di costituzione in giudizio degli appellati.

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese.

Visto il Dispositivo di sentenza n. 131/04.

Visti gli atti tutti della causa.

Alla pubblica udienza del 17 febbraio 2004 relatore il Consigliere Costantino Salvatore.

Nessuno comparso per le parti.

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.

F A T T O

A. Le signore Concetta e Francesca L. e Nuccitelli V., con ricorso al TAR Abruzzo – l’Aquila (n. 121/1993) impugnavano i seguenti provvedimenti del comune di Tagliacozzo: 1). decreto del Sindaco 8 gennaio 1993, di occupazione d’urgenza di terreni di loro proprietà, con notifica del piano particellare di esproprio e delle deliberazioni del consiglio comunale n. 33 del 28 gennaio 1980, 128 del 29 ottobre 1990, n. 77 del 20 ottobre 1992, n. 135 del 27 dicembre 1990, n. 32 del 12 giugno 1991 e n. 38 del 18 maggio 1992; 2) la deliberazione n. 33 del 28 gennaio 1980, di approvazione del PEEP, relativamente ai terreni situati nel comprensorio n. 9 Villa S. Sebastiano Nuova; 3). la deliberazione n. 128 del 29 ottobre 1990, di assegnazione in diritto di superficie alla Cooperativa edilizia “V.” di lotti di terreno in zona PEEP di Villa S. Sebastiano; 4). la deliberazione n. 135 del 27 dicembre 1990, recante approvazione del progetto di realizzazione delle infrastrutture primarie e di riassetto del comprensorio n. 9; 5). la deliberazione n. 32 del 12 giugno 1991, recante chiarimenti alla deliberazione n. 128/1990; 6). la deliberazione n. 38 del 18 maggio 1992, recante integrazione della delibera di assegnazione di lotti di terreno alla predetta Cooperativa, con modifiche allo schema di convenzione e rideterminazione del costo complessivo dell’area assegnata alla Cooperativa medesima.

Le ricorrenti:

- con il primo motivo, rivolto contro la delibera n. 33 del 28 gennaio 1980, deducevano l’illegittimità dell’atto di adozione del PEEP per avervi inserito i terreni di loro proprietà, nonostante fossero soggetti a vincolo paesistico; per carenza di motivazione in ordine al fabbisogno abitativo da soddisfare; per omessa notifica dei relativi atti e per mancanza del parere del Genio civile.

- con il secondo motivo, lamentavano imparzialità e contraddittorietà di comportamento, atteso che il comune, mentre aveva frapposto ostacoli all’assegnazione dei lotti in questione alla Cooperativa “Colle Termine”, avrebbe provveduto con insolita tempestività all’assegnazione in favore della Cooperativa “V.”, omettendo di accertare il possesso dei requisiti di legge in capo ai soci e di interpellare i proprietari espropriati al fine dell’eventuale esercizio del diritto di prelazione.

- con il terzo motivo, si dolevano che il riassestamento del comprensorio n. 9 fosse stato predisposto sulla base di un progetto unitario a firma del geometra della Cooperativa.

- con il quarto motivo veniva censurato il provvedimento di occupazione d’urgenza per mancata indicazione dei termini di inizio e fine dei lavori e delle espropriazioni.

- con la sesta censura, si contestava la legittimità della procedura seguita ai sensi della legge regionale 9 gennaio 1979, n. 2, e della legge statale 3 gennaio 1978, n. 1, atteso che tale procedura sarebbe utilizzabile solo per le opere pubbliche e non per quelle relative all’attuazione del PEEP, che pubbliche non sono.

- B. Con un secondo ricorso (n. 448/1993), L. Concetta, L. Francesca, V. Uliana, V. Maria, V. Francesco impugnavano il provvedimenti del sindaco 3 aprile 1993, adottati perché il primo provvedimento di occupazione non era stato eseguito nel termine trimestrale, nonché tutte le deliberazioni già impugnate con il primo gravame. Le censure sono identiche a quelle dedotte prima e con l’aggiunta che il Comune, non avendo mai adottato il PPA previsto dagli artt. 11 della legge 18 aprile 1962, n. 167, e 38 della legge 22 ottobre 1971, n. 865, non avrebbe potuto procedere all’assegnazione delle aree del PEEP, e che lo schema di convenzione sarebbe del tutto inesistente per carenza di elementi concreti.

In entrambi i ricorsi si costituivano solo il comune di Tagliacozzo e la Cooperativa “Villa Po 90”.

Il TAR, riuniti i due gravami, ha dichiarato improcedibile il primo (n. 121/1993) per sopravvenuto difetto d’interesse perché il decreto di occupazione era superato dal successivo. In ordine al secondo (n. 448/1993): ha dichiarato inammissibile la prima censura rivolta contro la deliberazione di adozione del PEEP; ha respinto le censure, relative alla mancata previa adozione del PPA, all’eccesso di potere per contraddittorietà rispetto al comportamento tenuto nei riguardi della Cooperativa “Colle Termine”, e alla sussistenza del vincolo paesistico; ha accolto le censure dedotte per mancato accertamento dei requisiti di legge in capo ai soci, per mancata previa comunicazione ai proprietari al fine di consentire l’esercizio del loro diritto di prelazione, e alla mancata indicazione dei termini di inizio e fine dei lavori e delle espropriazioni; ha dichiarato assorbite le rimanenti censure.

La sentenza è stata appellata dal comune.

Gli originari ricorrenti si sono costituiti in questo grado del giudizio, replicando alle argomentazioni del comune e riproponendo le censure dichiarate assorbite dal primo giudice.

L’appello è stato trattenuto in decisione alla pubblica udienza del 17 febbraio 2004.

D I R I T T O

1. Il primo motivo accolto dal TAR è quello dedotto nei riguardi della deliberazione n. 128 del 29 ottobre 1990, di assegnazione dell’area alla Cooperativa, e con il quale si lamentava l’omessa preventiva verifica del possesso da parte dei soci dei requisiti per l’assegnazione degli alloggi.

A tale mancata verifica non potrebbe supplire la dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà resa dal Presidente della Cooperativa per conto di tutti i soci, vuoi perché la dichiarazione, in ragione delle responsabilità di carattere personale ad essa connesse, andava resa dai singoli interessati, vuoi perché, in ogni caso, il Comune non potrebbe sottrarsi al preciso obbligo di garantire, mediante rigorosi accertamenti, che tutti i soci siano effettivamente in possesso dei requisiti richiesti per godere delle agevolazioni in materia di edilizia residenziale pubblica.

Ad avviso del primo giudice, a tale accertamento il comune sarebbe tenuto sia nel caso di assegnazione in diritto di proprietà sia nel caso di assegnazione in regime di superficie, essendo in entrambi i casi necessario accertare che nei soci sussista lo stato di bisogno abitativo che il legislatore ha inteso fronteggiare.

In tale contesto, non sarebbe decisivo opporre che ai sensi dell’art. 35, comma 1, della legge 22 ottobre 1971, n. 865, tale condizione espressamente prevede solo per l’ipotesi dell’assegnazione dell’area in proprietà, essendo facile osservare in contrario che tale norma ha voluto solo esplicitare una condizione, che deve però implicitamente riferirsi anche all’ipotesi di cessione delle aree con diritto di superficie.

1.1. Le conclusioni del giudice di primo grado non possono essere condivise.

Giova premettere che oggetto della deliberazione comunale contestata non sono gli alloggi da assegnare ai soci, ma l’area sulla quale la Cooperativa medesima intende costruire gli alloggi che saranno poi assegnati ai soci medesimi.

Ai fini della corretta soluzione della questione sottesa alla censura, non appare pertinente il richiamo alla disciplina per l’assegnazione degli alloggi ERP di cui al D.P.R. 30 dicembre 1972, n. 1035, atteso che, da un lato, le disposizioni contenute nel citato DPR n. 1035 del 1972, in materia di assegnazione di alloggi di edilizia residenziale pubblica, non sono state ritenute applicabili alle assegnazioni relative ad alloggi di cooperative edilizie, per espressa previsione in tal senso dell’art. 1, comma 3 del medesimo DPR n. 1035 (cfr., Cass. civile, Sezione prima 14 maggio 1997, n. 4257) e, dall’altro lato, che il possesso dei requisiti al momento dell’assegnazione è prevista dall’art. 35, comma 11 della legge 22 ottobre 1971, n. 865, solo con riferimento alla concessione in regime di proprietà.

Ciò precisato sotto il profilo generale, si deve osservare che, contrariamente a quanto ritenuto dal primo giudice, la dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà resa dal Presidente della Cooperativa è sicuramente rilevante in ordine alla sussistenza dei requisiti da parte dei suoi soci. Nella fase dell’assegnazione dell’area, infatti, il soggetto richiedente e, eventualmente, concessionario, è solo la Cooperativa, con la conseguenza che è solo il suo legale rappresentante che assume tutti gli obblighi connessi alla concessione dell’area, e fermo restando che il concreto accertamento del possesso dei requisiti da parte dei singoli soci dovrà, comunque, essere operato al momento dell’assegnazione degli alloggi. Ne è conferma la circostanza che l’art. 35 prevede l’assegnazione di aree in favore di imprese di costruzione.

E poiché tale previsione è esplicitamente contemplata nella deliberazione impugnata, si deve concludere per l’infondatezza della censura accolta dal giudice di primo grado.

2. A conclusioni negative deve pervenirsi anche in merito alla seconda censura accolta dal TAR , di violazione dell’art. 35, comma 11, della legge 22 ottobre 1971, n. 865, per omessa previa comunicazione della decisione di procedere all’assegnazione delle aree, che ha impedito ai ricorrenti di esercitare il loro diritto di preferenza nell’assegnazione dell’area.

Ad avviso del primo giudice, il principio espressamente previsto dalla citata norma per il caso di assegnazione di aree PEEP in regime di proprietà, non può non valere anche per le assegnazioni in regime di superficie.

Da qui l’illegittimità della deliberazione n. 128 del 1990 per mancato interpello dei proprietari e, in via derivata, anche del provvedimento di occupazione d’urgenza.

2.1. Il Collegio non ignora che, secondo talune decisioni della Sezione, il principio enunciato dall’art. 35, comma 1, è stato considerato operante anche nelle ipotesi di assegnazione delle aree PEEP in regime di superficie.

Deve, però, rilevare che esiste un opposto orientamento, secondo il quale l'art. 35, comma undicesimo, della legge n. 865 del 1971, configura un diritto di prelazione (o di preferenza) dei proprietari di aree incluse in un piano di zona per l'edilizia economica e popolare ai soli fini dell'assegnazione in proprietà (e non in superficie) dell'area e non in relazione a un'area determinata.

Tale orientamento, enunciato in epoca remota (Sez. IV, 27 giugno 1978, n. 608; 1 aprile 1993, n. 381) e ribadito anche di recente (Sez. IV, 25 marzo 2003, n. 1545), appare preferibile, perché più aderente al dato testuale della norma e alle sue finalità, atteso che, anche dove opera, la preferenza agli originari proprietari non è comunque riferibile a una data area, ma opera con riguardo al complesso delle aree, da assegnare in proprietà, incluse nel piano.

3. La terza censura ritenuta fondata dal TAR, attiene alla mancata indicazione dei termini per l’inizio ed il compimento delle espropriazioni e dei lavori, prescritti dall’art. 13 della legge 25 giugno 1865, n. 2359.

Anche su questo punto, le conclusioni del primo giudice non possono essere condivise.

Il pacifico orientamento della giurisprudenza di questo Consiglio di Stato esclude che l’art. 13 della legge 25 giugno 1865, n. 2359, in materia di apposizione dei termini, iniziale e finale, delle espropriazioni per pubblica utilità e dei relativi lavori, sia applicabile per le espropriazioni attinenti ai piani di zona per l’edilizia economica e popolare, essendo sostituito ed assorbito dalle disposizioni che delimitano nel tempo ope legis l’efficacia dei piani stessi (cfr., C.d.S., Ad. Plen., 20 dicembre 2002, n. 8; Sez. IV, 5 luglio 2000, n. 3730; 19 gennaio 1999, n. 41; 17 aprile 1998, n. 645).

Ove poi la censura volesse riferirsi alla mancata indicazione dei termini di inizio e di ultimazione degli edifici e delle opere di urbanizzazione, prescritta dall’art. 35, comma 8, lett. D), della legge 22 ottobre 1971, n. 865, si deve osservare che la doglianza è infondata in punto di fatto, perché tali termini sono espressamente menzionati all’art. 5 dello schema di convenzione.

4. La riconosciuta fondatezza dei motivi d’appello, impone di esaminare le censure dichiarate assorbite dal TAR ed espressamente riproposte dalle originarie ricorrenti con la memoria del 10 gennaio 1995.

4.1. La prime di tali censure (motivo sub. n. 4 del ricorso n. 448/1993) concerne il progetto di riassestamento del comprensorio n. 9 della zona PEEP di Villa San Sebastiano. Con essa si assume l’illegittimità del comportamento del comune, il quale, avendo deciso di accettare il piano unitario predisposto dal geom. incaricato dalla stessa Cooperativa, avrebbe rinunciato alla tutela diretta dell’interesse pubblico, al solo scopo di concludere velocemente tutta la vicenda.

La deliberazione che viene in questione è quella del Consiglio comunale n. 135 del 27 dicembre 1990, con la quale è stato approvato il progetto di assestamento del piano di zona, adeguando le evidenze progettuali e grafiche alla realtà esistente e identificando esattamente le infrastrutture primarie.

Posto che non viene contestata la bontà del progetto di assestamento, non sembra al collegio che l’illegittimità della relativa deliberazione possa essere predicata solo sul presupposto che tale progetto sia stato predisposto dal tecnico della Cooperativa, essendo evenienza del tutto normale la circostanza che, in materia di opere pubbliche o di pubblica utilità, la progettazione delle opere necessarie per gli interventi sia predisposta a cura e spese del concessionario dell’intervento medesimo.

4.2. La seconda censura qui riproposta (sub. n. 5 del ricorso n. 448 del 1993) investe la convenzione allegata alla deliberazione n. 38 del 18 maggio 1992, che, risolvendosi in un semplice schema privo di contenuti concreti e di parametri di riferimento, sarebbe da considerare inesistente.

Anche questa va disattesa, ove si consideri che la convenzione ricalca esattamente lo schema dell’art. 35, comma 8, della legge 22 ottobre 1971, n. 865, e non si vede cosa avrebbe dovuto contenere in aggiunta alla previsione normativa.

5. La riconosciuta infondatezza delle due censure riproposte e la mancata impugnazione, sia pure con appello incidentale, della sentenza nella parte in cui ha respinto diversi motivi del ricorso originario, comportano l’accoglimento integrale dell’appello dell’amministrazione e, in riforma della sentenza appellata, la reiezione del ricorso di primo grado.

Sussistono giusti motivi per disporre la compensazione delle spese del doppio grado.

P. Q. M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sez. IV), definitivamente pronunciando sull’appello in epigrafe specificato, lo accoglie e, in riforma della sentenza appellata, respinge il ricorso di primo grado.

Spese del doppio grado compensate.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.


Così deciso in Roma, addì 17 febbraio 2004 dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale - Sezione Quarta - riunito in camera di consiglio con l'intervento dei seguenti Magistrati:

Stenio RICCIO Presidente

Giuseppe BARBAGALLO Consigliere

Costantino SALVATORE Consigliere, est.

Dedi R U L L I Consigliere

Vito P O L I Consigliere


L’ESTENSORE IL PRESIDENTE

Costantino Salvatore Stenio Riccio

IL SEGRETARIO
Maria Grazia Nusca


DEPOSITATA IN SEGRETERIA

21 maggio 2004

(art. 55, L. 27.4.1982 n. 186)

Il Dirigente
Antonio Serrao

La redazione di megghy.com

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