Non è applicabile la custodia cautelare nei
confronti di un imputato minorenne per il reato di furto in
abitazione, lo ha stabilito la Cassazione, con la sentenza n.
9126 del 21 dicembre 2004-8 marzo 2005
CASSAZIONE
SEZIONE IV PENALE
SENTENZA 21 dicembre 2004-8 marzo 2005 n. 9126
(Presidente R. Olivieri, Relatore S. Visconti)
FATTO E DIRITTO
Con ordinanza in data 27.8.2004 il Tribunale per i minorenni
di Firenze, in funzione di giudice del riesame, ha annullato
l'ordinanza del 17.8.2004 del GIP dello stesso Tribunale,
con la quale era stata applicata a (omissis) la misura cautelare
della custodia in carcere per il reato di cui agli artt. 110,
624 bis, 625 n. 2 e 5 c.p..
Il Tribunale ha ritenuto che trattandosi di minorenne Part.
23 D.P.R. n. 448/1988 non richiama l'art. 380, comma 2, lett.
e) bis, c.p.p., introdotto dalla legge 203/2001 in relazione
alla nuova, autonoma fattispecie penale di cui all' art. 624
bis c.p., per cui, vigendo il principio di tassatività
dei casi in cui può essere limitata la libertà
personale, si deve escludere, per il delitto di furto in abitazione,
il riferimento analogico all'art. 380, comma 2, lett. e ),
c.p.p..
Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i
minorenni di Firenze ha proposto ricorso per cassazione, chiedendo
l'annullamento dell'ordinanza di riesame per violazione di
legge.
Il P.M. ricorrente, pur sostenendo l'assurdità che
una fattispecie di furto allarmante, come quello in abitazione,
e aggravato dalla violenza sulle cose, possa essere ritenuto
meno grave del furto semplice, aggravato dalla stessa circostanza,
e che solo per quest'ultimo sia consentito l'arresto in flagranza
di reato, a differenza dell'art. 624 bis c.p., e ritenendo
immutata la disciplina dell'arresto dei minori, si è
comunque posto il problema della mancata previsione nell'art.
23 D.P.R. 448/1988 del richiamo all'ari. 380, comma 2, lett.
e) bis, c.p.p., richiamando due sentenze di questa sezione
assolutamente contrastanti fra di loro, la prima n. 6520 del
4.12.2002, la quale ha ritenuto applicabile nell'ipotesi di
tentato furto aggravato in abitazione l'arresto in flagranza
e la custodia cautelare nei confronti di indagati minorenni,
e la seconda n. 6581 del 16.1.2003, che ha concluso in modo
opposto. Il P.M. ricorrente ha, quindi, chiesto di valutare
se non sia il caso di rimettere la questione alle SS.UU..
Infine, il ricorrente ha anche richiamato l'ordinanza della
Corte Costituzionale n. 137 del 24.4.2003, la quale ha ritenuto
non contrastare con alcuna norma della Costituzione la mancata.
previsione, fra i casi nei quali può essere adottata
la misura della custodia cautelare, l'ipotesi di cui all'art.
380, comma 2, lett. e) bis, c.p.p., probabilmente a causa
di una svista del legislatore, ma rispecchiante comunque una
scelta legislativa non sindacabile dal Giudice delle leggi,
e neppure manifestamente irragionevole.
Ritiene il Collegio che il contrasto giurisprudenziale (che,
oltre quelle già citate dal P.M. ricorrente, pur annovera
altra sentenza favorevole alla legittimità dell'arresto
in flagranza del minore che compie o tenta di compiere un
furto in abitazione e all'ammissibilità dell'emissione
della misura coercitiva della custodia in carcere: Cass. 12.2.2004
n. 5771 riv. 227467) non rende necessario il rinvio alle SS.UU.,
in quanto trattasi di tutte sentenze intervenute prima della
ordinanza chiarificatrice ed ineccepibile della Corte Costituzionale
n. 137 del 9.4.2003.
La abrogazione dell'art. 625 n. 1 c.p. e la contestuale previsione
di una fattispecie di reato, non aggravata, di furto in appartamento
(art. 624 bis c.p.), introdotta dalla legge 26.3.2001 n. 128,
ha avuto proprio la funzione, in relazione ala maggiore gravità
ed al conseguente allarme sociale di tale fattispecie di furto,
di evitare la comparazione tra la preesistente circostanza
aggravante ed attenuanti eventualmente concedibili, in particolare
quelle generiche di cui all'art. 62 bis c.p..
Ne consegue che la fattispecie di cui all'art. 624 bis è
autonoma rispetto a quella dell'art. 624, e non è possibile
ritenere l'analogia a causa della sussistenza, in alcune fattispecie,
dell'aggravante di cui al n.. 2 dell' art. 625, come ritenuto
nella sentenza di questa Corte n. 6520 dell '11.2. 2003.
In materia di libertà personale, garantita dall'art.
13 Cost., ed ancor più in tema di sua privazione nei
confronti di un minorenne, l'applicazione analogica non è
consentita, né la possibilità di arresto in
flagranza e di emissione della misura cautelare possono fondarsi
sulla contestazione di un'aggravante piuttosto che sul reato
base.
Il Giudice delle leggi ha rilevato "che il testo dell'art.
23 del D.P.R. n. 448 del 1988 stabilisce che ai minorenni
la custodia cautelare possa essere applicata, fuori delle
ipotesi di delitti non colposi per i quali è prevista
la pena dell'ergastolo ovvero della reclusione non inferiore
a nove anni, solo quando si procede per uno dei delitti previsti
dall'art. 380, comma 2, lettere e), f), g) ed h), non dunque
quando si procede per i delitti previsti oggi dalla lettera
e) bis del medesimo art. 380, comma 2", e cioè
i delitti di furto previsti dall'art. 624 bis c.p..
La Corte Costituzionale ha rilevato trattarsi di scelta legislativa
pur forse frutto di una svista del legislatore che comunque
non presenta i caratteri della evidente irragionevolezza,
stante il carattere di eccezionalità della applicazione
delle misure cautelari nei confronti dei minorenni, e valutato
che "la stessa possibilità di ricorrere alla custodia
cautelare nei confronti dei minori per il delitto di furto
era del tutto estranea alla previsione originaria dell'art.
23 del D.P.R. n. 448 del 1988" e che "tale possibilità
è stata introdotta solo con l' art. 42 del d. lgs.
14 gennaio 1991 n. 12".
Ne consegue che la Corte Costituzionale nel dichiarare manifestamente
infondata la questione di costituzionalità dell'art.
23 D.P.R. 22.9.1988 n. 448, nella parte in cui non prevede,
fra i casi nei quali può essere adottata la misura
della custodia cautelare nei confronti dì minorenni,
l'ipotesi di cui all'art. 380, comma 2, lettera e) bis c.p.p.
ha altresì precisato che l'interpretazione fornita
dal remittente, e cioè quella negativa che creerebbe
un contrasto con l'art. 3 Cost. per il differente trattamento
che subiscono gli imputati maggiorenni, è quella esatta.
Tale conclusione è pienamente condivisibile, non solo
per l'autorità della fonte dalla quale proviene, ma
per il rispetto del principio costituzionale di cui al 2°
comma dell' art. 13, in base al quale "non è ammessa
alcuna forma di detenzione, di ispezione o di perquisizione
personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà
personale, se non per atto motivato dall'autorità giudiziaria
e nei soli casi e modi previsti dalla legge".
Qualsiasi interpretazione analogica è, in tale materia,
arbitraria, e particolari trattamenti di maggior favore per
i minorenni rientrano nella logica anche sociale della eccezionalità
della privazione della libertà personale nei confronti
di soggetti più deboli, e prevalentemente recuperabili.
Se poi come ritenuto in via di ipotesi dal Giudice delle
leggi si è trattato di una svista del legislatore,
solo a quest'ultimo spetta di modificare la norma, che essendo
allo stato chiarissima non può essere certamente disattesa
dal giudice.
Il ricorso del P.M. va, quindi, rigettato.
PER QUESTI MOTIVI.
La Corte rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, il 21 dicembre 2004.
Depositato in Cancelleria il 8 marzo 2005.
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