Siti civetta, file sharing pedopornografico e inutilizzabilità
degli elementi probatori
Nota a cura dell'Avv. Salvatore Frattallone
Ancora non v’é univocità di indirizzo,
in seno alla Suprema Corte, in tema di prove illegittimamente
acquisite e di regime della loro inutilizzabilità.
La sentenza n. 1481/04 a commento lo dimostra in particolar
modo quando vengano in rilievo illegittimità scaturenti
dalla violazione dell’art. 14 della l. 269/98. Tale
legge ha – fra l’altro – configurato la
illiceità della pedo-pornografia attuata anche per
via telematica, sanzionandone gravemente come delitti le varie
fattispecie e, eccezionalmente, scriminando l’attività
cd. di contrasto di taluni specifici agenti provocatori. La
inutilizzabilità è sancita espressamente, ed
in via generale, dall’art. 191 del Codice di Rito Penale.
Il dettato normativo infatti prevede che la prove acquisite
in violazione dei divieti stabiliti dalla legge non possano
essere utilizzate. Nel giugno dello scorso anno, infatti,
la Terza Sezione Penale della S.C. aveva fatto propria una
lettura restrittiva della norma sulla inutilizzabilità,
circoscrivendola alla fase strettamente “probatoria”,
con ciò negando rilievo agli elementi illegittimamente
acquisti ai soli fini della formazione del convincimento del
giudice (cfr. Cass. Sent. 08.06.2004-07.07.2004, n. 29496).
A fine anno poi (cfr. Cass. Sent. 01.-23.12.2004 n. 1481)
i Giudici di Piazza Cavour hanno inteso seguire una linea
assai più rigorosa, stabilendosi che dev’essere
preclusa agli elementi raccolti nel corso di un’indagine
appalesatasi illegittima qualunque rilevanza, ancorché
essa sia diversa dall’inutilizzabilità ex art.
191 C.P.P. Ebbene, pare che le oscillazioni della S.C. siano
incentrate e derivino dalla diversa lettura fornita al concetto
di “violazione dei divieti stabiliti dalla legge”
ed alla relativa sanzione dell’ “inutilizzabilità”.
La questione - In via preliminare, per inciso, va sottolineato
come non tutti gli elementi raccolti nel contesto di un’indagine
che si discosti dal precetto normativo siano perciò
stesso inutilizzabili. Esistono, infatti, due forme principali
di patologia che possono riguardare la prova: da un lato,
la inutilizzabilità di cui si discute, rilevante ex
art. 191 C.P.P.; dall’altro, la nullità d’ordine
generale scaturente dalla previsione dell’art. 178 C.P.P.
La dottrina ha giustamente ravvisato la linea del discrimine
raffrontando la ratio delle norme: per un verso, la figura
dell’inutilizzabilità vede sottese ipotesi in
cui l’acquisizione della prova non era in sé
consentita; per altro verso, la nullità concerne casi
non intrinsecamente viziati-vietati, ma in cui si è
prodotta una mera irritualità per violazione delle
norme inerenti al “come” dell’ acquisizione
di quella prova. Si spiega così come solo per l’inutilizzabilità
venga predisposto un regime molto rigoroso, che si sostanzia
nell’ assoluta impossibilità per il Giudice di
porre a fondamento del proprio convincimento e della sua decisione
gli elementi provati seguendo vie vietate dalla legge. Del
resto correlata al rigore sanzionatorio, v’è
una stretta tipicità dei casi, discendendo l’inutilizzabilità
solo dalla norma dell’art. 191 C.P.P. (inutilizzabilità
generali) o da casi di esplicito divieto legislativo (inutilizzabilità
speciali), anche se la sanzione non sia espressamente contemplata.
Quanto al diverso modo di intendere l’inutilizzabilità,
è opportuno passare sinteticamente in rassegna le citate
due sentenze.
La tesi della sola inutilizzabilità dibattimentale
- Nella prima delle suddette pronunce (Cass. Sent. n. 29496/04)
la S.C. ha preso atto di diversi orientamenti espressi sino
ad allora dalla medesima terza sezione, con i quali si è
inteso dedurre dalla violazione dei requisiti sostanziali
o formali delle indagini disposte ai sensi dell’art.
14 l. 269/98 una sanzione di inutilizzabilità della
prova che si traduce anche, nella fase delle indagini, nell’impossibilità
di disporre il sequestro. La preclusione opererebbe, invero,
nei medesimi termini quando l’operazione d’indagine
illegittimamente eseguita avesse fatto emergere cose pertinenti
ad un reato affatto diverso, siccome rinvenute nel contesto
di un’operazione investigativa “in radice”
vietata dall’ordinamento giuridico.
Le operazioni d’indagine di cui si tratta rientrano
nelle attività di contrasto disciplinata nella legge
“Norme contro la sfruttamento della prostituzione, della
pornografia, del turismo sessuale in danno di minori, quali
nuove forme di schiavitù” e si svolgono secondo
un regime fortemente incisivo dei diritti e delle libertà
fondamentali nonché, di fatto, attraverso comportamenti
altrimenti integranti fatti di reato. La copertura scriminante
predisposta dalla legge n. 269/98 interviene poiché,
nel bilanciamento degli interessi in gioco, si è ritenuta
la prevalenza dell’esigenza di repressione e controllo
almeno per le forme più gravi di criminalità,
quali quelle previste e punite dagli artt. 600 bis1, 600 ter1,2,3
e 600 quinquies C.P. Tratto comune a tali fattispecie è
infatti un comportamento deviante e di carattere pedo-pornografico,
che tuttavia non rimane circoscritto nel foro interiore del
soggetto agente ma che si sviluppa ab extrinseco, manifestando
una maggiore dannosità e pericolosità sociale
che giustifica indagini condotte secondo norme che comprimono
in modo sensibile diritti di rilievo costituzionale. É
evidente che tale regime ha trovato unanime interpretazione
assolutamente tassativa: mai si è ammessa l’attivazione
di quegli eccezionali strumenti d’indagine e ricerca
della prova al di fuori dei casi espressamente previsti dall’art.
14 l. cit. In primis, s’è escluso che possa ad
essa ricorrersi ove si voglia perseguire il reato di cui all’art.
600 quater C.P., nel quale la condotta si sostanzia nella
mera ed individualistica detenzione del materiale pedopornografico,
e non nel fatto della induzione alla prostituzione minorile
(art. 600 bis C.P.), ovvero nel far commercio, nel distribuire,
divulgare, cedere, pubblicizzare materiale pedopornografico
(art. 600 ter C.P.) o nell’assumere le depravate iniziative
turistiche sanzionate dall’art. 600 quinquies C.P. A
maggior ragione allora, si sosteneva nei citati orientamenti
giurisprudenziali pregressi, laddove la traccia del reato
di detenzione emerga nel contesto di un’operazione disposta
ex art. 14 l. 269/98, ma in violazione di talune delle norme
di garanzia apprestata dalla stessa legge speciale, non si
potrebbe mantenere il vincolo reale sulla cosa, perché
l’illegittimità dell’indagine travolgerebbe
anche la possibilità di ritenere integrato il fumus
del reato, presupposto del sequestro. Sennonché, con
menzionata sentenza n. 29496/04 si è ritenuto di temperare
questa soluzione interpretativa, attraverso tre strumenti
argomentativi: a) richiamandosi all’istituto delle confisca
obbligatoria; b) ricordando l’obbligo di esercizio dell’azione
penale; c) negando pregio alla tesi delle configurabilità
di un’inutilizzabilità derivata.
a) Sotto il primo profilo si è affermato che l’art.
600 septies C.P. (confisca obbligatoria ex art. 240 C.P.P.)
prevede la confisca anche per i reati di cui all’art.
600 quater C.P.; ciò significa che, per il combinato
disposto degli artt. 3212 C.P.P. e 600 septies C.P., sarebbe
comunque possibile, ed anzi necessario, addivenire al sequestro
preventivo del materiale pedopornografico da taluno detenuto,
a quel punto divenendo del tutto irrilevante che ciò
accada nel contesto di un’operazione legittimamente
disposta o no, stante la non necessaria ricorrenza del fumus
boni iuris.
b) In secondo luogo, si è addotta l’esistenza
di uno specifico obbligo di esercizio dell’azione penale
o, comunque, di dar corso, da parte del pubblico ufficiale,
alla notitia criminis acquisita aliunde. Sotto questo profilo,
dunque, del medesimo materiale pedopornografico riconducibile
al reato di detenzione illecita de qua, si potrebbe distinguere
un uso probatorio da un uso orientativo. Si è osservato,
così, che gli elementi che pur taluno potrebbe ritenere
privi di un valore probatorio, avrebbero comunque di per sé
un valore orientativo, capace se non di sottendere da soli
a un sequestro, quantomeno d’attivare gli obblighi di
rapporto e d’informativa degli agenti di P.G.: ciò
poiché, di certo, la qualifica d’inutilizzabilità
non potrà mai ricadere sulla notitia criminis, che
è suscettibile d’essere vagliata solo in termini
di attendibilità/non attendibilità.
c) In terzo luogo, la decisione a commento ha negato in ogni
caso rilievo alla tesi dell’inutilizzabilità
c.d. derivata. Secondo quest’ultima teoria il vizio
scaturente dalla violazione delle prescrizioni di cui all’art.
14 l.269/98 si riverbera sia sulle prove acquisite ai fini
della contestazione di quei reati per i quali l’indagine
è prevista, sia anche sulle prove casualmente rinvenute
nell’occorso e che, invece, riguardino un altro e diverso
reato. Si è sostenuto sul punto che, secondo l’antico
brocardo male captum bene retentum, “ove la cosa sia
obiettivamente sequestrabile, i relativi poteri non dipendono
da come sia avvenuto il reperimento, in quanto non trova alcun
fondamento l’assunto, per cui il provvedimento basato
su elementi probatori inutilizzabili debba considerarsi inutilizzabile
in via derivata: tra gli atti probatori e i provvedimenti
che su di essi si impernia s’instaura un rapporto di
dipendenza logica ma non di implicazione, come avviene fra
gli atti necessari di un procedimento”. Quanto sopra
troverebbe conferma, s’è precisato, nella circostanza
che il sequestro e l’acquisizione della prova sono soltanto
cronologicamente successivi all’indagine illegittima,
non ricavando di certo da essa il proprio fondamento giuridico:
difatti, “il potere del giudice di apprendere coattivamente
e di acquisire la prova è preesistente all’atto
con cui illegittimamente si sono apprese o reperite, sicchè
l’atto del funzionario resta illecito o illegittimo,
ma il giudice, mentre acquisisce la prova, agisce secondo
la misura dei suoi poteri.” Aggiungasi, ha puntualizzato
la S.C., che l’attività sotto copertura prevista
dall’art. 14 in oggetto sarebbe in divenire, “sempre
più evolvendo da tipico istituto da inserire in una
concreta realtà investigativa, che si innesta in un
tronco già sviluppato, ad operazioni che precedono
l’acquisizione della notizia di reato e tendono ad acquisirla”.
Inoltre, si è addotto da parte dell’alto Consesso,
sarebbe in atto da parte del legislatore una tendenza a considerare
in maniera unitaria tutti i delitti comunque attinenti alla
persona umana, consentendo per essi indistintamente l’attivazione
di operazioni sotto copertura. Infine, ha conclusivamente
osservato la S.C., va ricordato che la ratio di disposizioni
quale quella di cui all’art. 14 l. cit. è quella
di consentire, expressis verbis scriminandoli, comportamenti
d’indagine che, altrimenti, costituirebbero reato, sicchè
il cd. agente provocatore andrebbe esente da qualsivoglia
responsabilità. Allora, laddove vengano anche superati,
in concreto, i limiti entro i quali soltanto opera l’effetto
scriminante, ciò potrà al più determinare
“l’illegittimità o l’illiceità
della condotta, ma non far venir meno la notitia criminis
e la natura delle cose apprese, possibile oggetto di sequestro,
in quanto solo nel momento di valutazione della prova dovranno
sussistere differenti elementi o acquisizioni probatorie utilizzabili”
a sostegno dell’accusa. In definitiva, utilizzando la
triplice leva dell’obbligo di dar seguito alla notizia
di reato, dell’oggettiva natura, attinente al reato,
delle cose reperite (che ne determina ex sé la confiscabilità
e, quindi, l’assoggettabilità almeno a sequestro
preventivo), e negando la configurabilità di un’illegittimità
intrinseca dell’indagine (che possa giungere financo
ad inficiare l’incisività di un potere del giudice
comunque preesistente), la S.C. ha negato che l’inutilizzabilità
– come categoria concettuale riferita alla prova e alla
sua incidenza ai fini della formazione del convincimento del
giudice – possa riflettersi sulla diversa confiscabilità
del materiale pedopornografico. Questo, per la sua stessa
natura ed in virtù di uno specifico potere d’acquisizione
del giudice, non potrebbe non venire sequestrato (“sarebbe
assurdo – ha aggiunto la Corte - che non si possano
“sequestrare beni che, ove con altre prove venga dimostrata
la responsabilità dell’indagato, sarebbero soggetti
a confisca obbligatoria ex articolo 2402 C.P. e sottoponibili
a sequestro preventivo in virtù del dettato del secondo
comma dell’art. 321 C.P.P.”. nel csso di specie,
quindi, la Suprema Corte, cassando il ricorso, ha confermato
il sequestro probatorio già disposto.
La tesi della radicale inutilizzabilità, anche in
fase cautelare - In senso opposto, così restituendo
riscontro ed attendibilità agli orientamenti contestati
a luglio del 2004, la medesima terza sezione, nello scorso
dicembre (Cass. Sent. n. 1481/04), ha nuovamente ripiegato
su posizioni di massima garanzia per l’indagato, confermando
nella fattispecie la decisione con la quale il Tribunale di
Asti, in sede di Riesame, aveva annullato il decreto di sequestro
adottato dalla locale Procura della Repubblica nel contesto
di un’indagine che era risultata disposta in violazione
dell’art. 14 l. n. 269/98, per due ordini di motivi.
In primo luogo, s’è sentenziato l’operazione
sotto copertura era stata avviata di propria iniziativa da
un Comando Provinciale di polizia giudiziaria, senza che vi
fosse stata la preventiva autorizzazione dell’Autorità
Giudiziaria; in secondo luogo, i risultati di tale attività
erano stati impiegati nel contesto della repressione di un
reato diverso da quelli per i quali l’operazione sotto
copertura avrebbe potuto venire attivata, venendo in considerazione,
nel caso addotto alla cognizione del giudice di legittimità,
una mera detenzione di materiale di carattere pedopornografico.
Le violazioni della legge n. 269/98 erano state ritenute allora
sufficienti ad integrare i presupposti dell’art. 191
C.P.P., scaturendone così la sanzione della inutilizzabilità.
Tale inutilizzabilità, poi, ha ritenuto la Corte che
operasse anche ai fini della valutazione della sussistenza
del fumus talchè, venute meno quelle risultanze d’indagine,
esso non poteva più dirsi ricorrente, sicchè
si imponeva una decisione favorevole all’indagato. É
evidente che, con questa decisione, la Corte ha prima di tutto
avallato una nozione di inutilizzabilità piuttosto
lata, non venendo più essa in rilievo esclusivamente
in un contesto probatorio-dibattimentale, ma anche nella fase
indiziaria, qual è tipicamente la fase cautelare nella
quale s’era disposto il sequestro impugnato.
Vanno peraltro qui evidenziate le due principali ragioni
che hanno indotto la S.C. a ritenere integrato, a monte, il
presupposto dell’inutilizzabilità, ossia la violazione
di un divieto di legge. Da un primo punto di vista, si è
ritenuta avvenuta in violazione di un divieto di legge, ravvisato
nel disposto dell’art 14 l. n. 269/98, l’attività
d’indagine sotto copertura attivata dalla P.G. senza
la previa autorizzazione dell’A.G. la conclusione é,
da un lato, conforme al dettato normativo in senso stretto;
dall’altro, segna una decisa presa di posizione nei
confronti di quella tendenza giurisprudenziale evolutiva in
ordine alle operazioni sotto copertura, di cui riferiva esattamente
la sentenza in precedenza commentata. Evidentemente gli “ermellini”
hanno ritenuto di dover contrastare la distorsione cui avrebbe
potuto condurre tale operazione esegetica nell’alveo
delle iniziative volte non solo alla ricerca e acquisizione
della prova ma, prima, alla ricerca ed acquisizione della
notizia di reato. Da altro punto di vista, si è ritenuto
che l’attività d’indagine in concreto svolta
dalla P.G. sia da considerarsi esclusivamente dettata in funzione
dell’acquisizione di prove inerenti ai reati testualmente
citati dalla legge medesima, con consequenziale esclusione
di qualsivoglia altra differente ipotesi delittuosa. Nel caso
di specie, si era pervenuti mediante l’operazione sotto
copertura, alla notizia di un reato ex art. 600 quater C.P.
e conseguentemente si era fatto luogo al sequestro delle cose
pertinenti a quel certo reato. I Giudici di legittimità,
avallando la decisione del Riesame a quo, hanno pertanto ritenuto
che siffatte operazioni, siccome eccezionali, debbano comunque
muoversi nell’esclusiva ottica dei delitti richiamati,
specificatamente e tassativamente, dall’art 14 l. n.
269/98, non essendo affatto consentita interpretazione analogica
alcuna. Rispetto ad altre ipotesi criminose, doveva dunque
ritenersi inutilizzabile qualsivoglia elemento eventualmente
rinvenuto. In tal modo, peraltro, venendo a cadere il presupposto
della misura cautelare, ovverosia il fumus commissi delicti,
s’imponeva altresì l’annullamento dei decreti
di perquisizione e sequestro, che altrimenti si sarebbero
tradotti in mezzi non consentiti di ricerca ed acquisizione
della prova. Questo pare esser stato, per vero, l’argomento
più pregnante alla base della discrasia interna alla
Corte. La questione, peraltro, era stata già ampiamente
affrontata anche in altra anteriore decisione (cfr. Sent.
cass., Terza Sezione, n. 39706/03), riconducibile ad identico
filone giurisprudenziale, nella cui parte motiva si legge:
“l’attività di contrasto non poteva in
nessun modo essere diretta a scoprire comportamenti di quei
soggetti che si limitavano esclusivamente a procurarsi o detenere
materiale pedopornografico, così come non poteva essere
assolutamente essere utilizzata per scoprire i comportamenti
di quei soggetti che si limitavano, anche consapevolmente
a cedere ad altri, anche a titolo gratuito materiale pedopornografico
(art. 600 ter4, C.P.), ossia si limitavano a una singola cessione
di immagini o di filmati pedopornografici, dovendo invece
essere diretta esclusivamente alla scoperta di quei comportamenti
consistenti nella “distribuzione” o “divulgazione”
o “pubblicizzazione” ad un numero indeterminato
di persone del detto materiale (ovvero a scoprire i comportamenti
integranti un altro dei reati espressamente indicati dalla
disposizione in esame)”. Tale ultima sentenza, inoltre,
specifica che la “totale inutilizzabilità degli
elementi relativi a tale reato (art. 600 quater C.P.) eventualmente
raccolti restava ferma, in ogni caso, a prescindere dalle
origini e dalle vicende procedimentali e non può ovviamente
venire meno solo per il fatto – del tutto casuale ed
irrilevante – che il procedimento per il reato di cui
all’art 600 quater C.P. prenda origine da uno stralcio
effettuato in diverso procedimento”, inerente proprio
ai reati che consentono la liceità dell’agire
dell’agente provocatore ex art. 14 l. n. 269/98. Ed
allora, secondo un tal orientamento, a più riprese
espresso, nessun dovere istituzionale del pubblico ufficiale
di dar seguito alla notizia di reato può condurre ad
oltrepassare i rigorosi limiti della più stretta tassatività
dei casi sottesi alla indagini di contrasto alla pedopornografia,
che sostanzialmente si svolgono attraverso l’autorizzata
mediazione di un agente provocatore. Anzi, si è ritenuto
che “è del tutto ovvio e corrispondente ai principi
– ed una contraria interpretazione sarebbe in contrasto
con i fondamentali principi costituzionali e dovrebbe, quindi,
essere esser comunque disattesa, per evitare possibili censure
d’illegittimità costituzionale – che qualora
attraverso tale attività dell’agente provocatore
si vengano a scoprire reati diversi da quelli alla cui scoperta
tale attività era esclusivamente indirizzati, gli elementi
probatori relativi a tali reati non possano comunque essere
in nessun caso utilizzati”.
La tesi intermedia del Riesame di Padova, ai fini della confisca
- Sul tema è meritevole di venire menzionata una recente
pronuncia del Tribunale di Padova, sezione del Riesame (Ordinanza
17-18.11.2004, R.G. R.I.M.C.R. n. 111/04), inerente a misura
cautelare reale disposta dalla Procura della Repubblica di
Padova, che aveva rinnovato analoga misura già caducata
dal Tribunale del Riesame partenopeo, fondata sugli esiti
d’una indagine svolta ex art. 600 ter3 C.P. Nel caso
di specie, per vero, il vizio sotteso all’operazione
d’indagine eseguita dalla Polizia Postale, così
come riconosciuto dai Magistrati patavini del Riesame, era
addirittura diverso dalla violazione dell’art. 14 legge
n. 269/98, venendo difatti lì in considerazione il
difetto del decreto motivato previsto ex art. 132 D. L.vo
n. 196/03 (c.d. Codice Privacy, sul punto novellato dalla
L. n. 45/2004) per procedere alla legittima acquisizione dei
dati del traffico telefonico. Parimenti, ritenuto che l’indagine
de qua si fosse svolta in violazione di un divieto legale
– non dissimilmente da quanto accade per la violazione
della l. 269/98 – se ne è tratta la conclusione
d’un conseguente vizio (non di mera nullità,
ma) di radicale inutilizzabilità della prove acquisite
in corso d’indagini. Seguendo un iter argomentativo
non diverso da quello di cui all’annotata sentenza di
Cassazione n. 1481/04, il Collegio del Riesame di Padova ha
deciso che l’inutilizzabilità operasse non solo
ai fini dibattimental-probatori in senso stretto, ma anticipasse
i suoi effetti tutti sin dalla fase procedimentale: traducendosi
nella impossibilità di ritenere sussistente il fumus
boni iuris, necessario per disporre un sequestro, tale inutilizzabilità
imponeva di precludere una valutazione positiva di legittimità
della misura reale tempestivamente avversata dall’indagato.
Ne è derivata, secondo l’articolata Ordinanza
del Riesame, la necessità di disporre l’accoglimento
del gravame disponendosi la restituzione delle cose illegittimamente
sequestrate (computer) per difetto del fumus boni iuris del
delitto contestato. Tuttavia, è stata fatta salva dal
Tribunale di Padova la possibilità di disporre la confisca
dell’eventuale materiale pedopornografico rinvenuto
nel sistema informatico da dissequestrare ("P.Q.M., visti
glia artt. 253, 324 C.P.P., accoglie la richiesta di riesame
presentata da xxxx xxxx e per l’effetto dispone la restituzione
al medesimo di quanto a lui sequestrato, previa estrazione
del materiale pedopornografico contenuto nei supporti informatici
in sequestro, delegando per le operazioni anzidette e per
la restituzione la Polizia Postale del Veneto"), non
potendo non assolvere il Giudice – come precisato in
motivazione – ai doveri imposti ex art. 600 septies
C.P. di confisca obbligatoria, in una prospettiva qualificabile
come general-preventiva, che fa dello strumento una misura
di sicurezza, non di certo una pena accessoria. Con quest’ultima
decisione di merito s’è espressamente ribadito
che l’omissione dell’adempimento ex art. 132 D.
L.vo n. 196/03 non può che configurare il successivo
risultato come prova acquisita in violazione di un divieto
legale, con la conseguente inutilizzabilità c.d. patologica
(dunque rilevante in ogni stato e grado del procedimento ed
anche nel corso delle indagini preliminari) dello stesso (cfr.
Cass. SS.UU. 21.06.2000 n. 16, ric. Tammaro). Pertanto, pare
sia stata inaugurata una terza via interpretativa, essendosi
offerta, rispetto alle tesi sostenute alternativamente dalla
Cassazione, una lettura intermedia e temperata tra i due suesposti
orientamenti, mediando le contrapposte esigenze.
SENT. 01/12/2004 DEP. 23/12/2004
PRES. Papadia U.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Camera di consiglio del 1/12/2004 SENTENZA N. 1481 - REGISTRO
GENERALE N. 33543/2004 -
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PAPADIA Umberto – Presidente -
Dott. VITALONE Claudio - Consigliere -
Dott. POSTIGLIONE Amedeo - Consigliere -
Dott. GRASSI Aldo - Consigliere -
Dott. FRANCO Amedeo - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Asti;
avverso l'ordinanza emessa dallo stesso Tribunale, in data
28/7/04,
nel procedimento a carico di:
*XXXXX* nato a *XXXX* il *XXXXX*
Visti gli atti, l'ordinanza denunziata e il ricorso;
Udita la relazione fatta dal Consigliere Dr. Grassi;
Udito il S. Procuratore Generale Dr. M. Fraticelli, il quale
ha
chiesto il rigetto del ricorso, perché infondato;
La Corte Suprema di Cassazione:
OSSERVA
Con ordinanza del 28/7/2004 il Tribunale di Asti annullava,
in sede di riesame, il decreto di sequestro probatorio emesso
dal Procuratore della Repubblica presso lo stesso Tribunale,
in data 1/7/04, nei confronti di *XXXX* indagato in ordine
al delitto previsto dall'art. 600 quater c.p. ed ordinava
la restituzione, all'avente diritto, delle cose in sequestro,
affermando e ritenendo:
a) che dagli atti era emerso come il 28/02/'02 personale
del Nucleo operativo del Comando provinciale dei Carabinieri
di Asti avesse stipulato, di propria iniziativa, allo scopo
di accertare l'attività delittuosa connessa alla diffusione,
acquisizione e commercializzazione di materiale pedofilo,
un contratto di accesso ad Internet, utilizzando un nome fittizio
e pagando il relativo prezzo con una carta di credito e così
aveva ottenuto l'iscrizione necessaria per la visualizzazione
del sito "*XXXXX*" e si era procurato immagini commercializzate
su diversi siti operanti nel mercato pedo-pornografico;
b) che, segnalato ciò al Procuratore della Repubblica
presso il locale Tribunale, costui aveva ipotizzato l'esistenza
del reato previsto dall'art. 600 ter co. 2^ e 3^ c.p. e chiesto
al Giudice per le indagini preliminari, il quale l'aveva autorizzata
con decreto del 3/4/02, l'intercettazione dei flussi telematici
degli accessi ai diversi siti che risultavano commercializzare
materiale pedofilo;
c) che il detto P.M. aveva anche disposto l'acquisizione
dei numeri telefonici e la identificazione dei relativi intestatari,
ai quali erano stati assegnati gli indirizzi per i collegamenti
ai siti in questione;
d) che, sulla base dei dati così acquisiti, il menzionato
Procuratore della Repubblica aveva disposto, con il decreto
impugnato, perquisizione personale e domiciliare in danno,
fra gli altri, di *XXXX* indagato in ordine al delitto di
cui all'art. 600 quater c.p., per essersi procurato consapevolmente
materiale pornografico prodotto mediante lo sfruttamento sessuale
di minori degli anni diciotto, acquisendolo da siti di pornografia,
nonché il sequestro di eventuali corpi di reato identificati,
dai militari operanti, in un "personal computer",
in tre confezioni di "floppy disks" ed in una custodia
in plastica contenente altri diciassette "floppy disks";
e) che il provvedimento impugnato ed il conseguente sequestro
dovevano essere annullati perché disposti sulla base
di una precedente attività investigativa illegittima,
in quanto posta in essere in violazione della normativa di
cui all'art. 14 L. 3/8/'98, n. 269, la quale disciplina rigorosamente
e senza possibilità di interpretazioni ed applicazioni
in via analogica, le attività di contrasto dello sfruttamento
della prostituzione, della pornografia e del turismo sessuale
in danno di minori;
f) che, in particolare, a mente della norma testé
richiamata, le attività di contrasto esperibili sono
limitate all'accertamento solo dei reati previsti dagli arti
600 bis co. 1^, 603 ter co. 1^, 2^ e 3^, nonché 605
quinquies c.p., mentre nel caso in specie il reato oggetto
di investigazione é quello di cui all'art. 600 quater
c.p.;
g) che, inoltre, l'attività investigativa sulla base
dei cui risultati il decreto impugnato é stato emesso
era stata svolta, dai Carabinieri, senza la necessaria, preventiva
autorizzazione dell'Autorità giudiziaria;
h) che, non essendo quindi utilizzabile - a mente dell'art.
191 c.p.p. - la detta attività di indagine, non poteva
ritenersi provato ed esistente il "fumus" del delitto
previsto dallo art. 600 quater c.p.
Avverso l'ordinanza di riesame il Procuratore della Repubblica
presso il Tribunale di Asti ha proposto ricorso per Cassazione
e ne chiede l'annullamento per violazione di legge.
Deduce, in particolare, il ricorrente che l'attività
investigativa svolta dai Carabinieri, consistita nella navigazione
in Internet ed individuazione di siti contenenti materiale
telematico ottenuto mediante lo sfruttamento sessuale di minori
degli anni diciotto e, poi, nell'intercettazione dei relativi
flussi, non rientrerebbe nell'attività di contrasto
di cui all'art. 14 L. 269/'98, ma sarebbe mera attività
di polizia giudiziaria, come tale legittimamente utilizzata
al fine di desumere da essa il "fumus" del reato
per il quale il *XXXXXXXX* é indagato.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso é destituito di fondamento e, come tale,
deve essere rigettato.
Dall'ordinanza impugnata si evince - e la circostanza non
é contraddetta dal P.M. ricorrente - che i Carabinieri
del Nucleo operativo del Comando provinciale di Asti nel Febbraio
'02 stipularono, senza preventiva autorizzazione dell'Autorità
giudiziaria ed utilizzando un nome fittizio, un contratto
di accesso ad Internet e pagarono con carta di credito l'iscrizione
necessaria per accedere alla visualizzazione del sito pornografico
sopra indicato.
Ciò allo scopo, dichiarato, di accertare eventuale
attività delittuosa connessa all'acquisizione, diffusione
e commercializzazione di materiale pedofilo realizzato con
lo sfruttamento sessuale di minori di anni diciotto.
All'esito delle indagini e dopo essersi in tal modo procurate
immagini commercializzate su diversi siti operanti nell'ambito
del mercato pedo-pornografico, riferirono al Procuratore della
Repubblica presso il Tribunale di Asti il quale ipotizzò
l'esistenza del delitto previsto dall'art. 600 ter co. 2 e
3 c.p. (commercio, distribuzione, divulgazione o pubblicizzazione,
anche per via telematica, di materiale pornografico realizzato
mediante lo sfruttamento di minori degli anni diciotto) e,
da un canto, chiese al Giudice per le indagini preliminari,
nel Marzo '02, la autorizzazione - ottenuta - all'intercettazione
dei flussi telematici di accesso ai diversi siti che, in base
alle investigazioni esperite, risultavano commercializzare
materiale di tipo pedofilo e, dall'altro, dispose l'acquisizione
dei numeri telefonici e l'identificazione dei relativi intestatari
ai quali figuravano assegnati gli indirizzi di posta elettronica
indicati per i collegamenti ai siti intercettati.
Sulla base dei risultati di tale laboriosa attività
l'1/7/04 il detto P.M. instaurò procedimento penale
a carico del *XXXXXXXX* quale indagato in ordine al delitto
previsto dall'art. 600 quater c.p. (detenzione di materiale
pornografico prodotto mediante lo sfruttamento sessuale dei
minori degli anni diciotto) e dispose, nei confronti dello
stesso, perquisizione personale e domiciliare, nonché
il sequestro di quanto potesse costituire corpo del reato
oggetto di investigazione.
Orbene, l'art. 14 co. 1^ L. 3/8/'98, n. 269, stabilisce che
"nell'ambito delle operazioni disposte dal Questore o
dal responsabile di livello almeno provinciale dell'organismo
di appartenenza, gli Ufficiali di polizia giudiziaria delle
strutture specializzate per la repressione dei delitti sessuali
o per la tutela dei minori, ovvero di quelle istituite per
il contrasto dei delitti di criminalità organizzata,
possono, previa autorizzazione dell'Autorità giudiziaria,
al solo fine di acquisire elementi di prova in ordine ai delitti
di cui agli artt. 600 bis co. 1^, 600 ter co. 1^, 2^ e 3^,
600 quinquies c.p., procedere all'acquisto simulato di materiale
pornografico ed alle relative attività di intermediazione,
nonché partecipare alle iniziative turistiche di cui
all'art. 5 della presente legge. Dell'acquisto é data
immediata comunicazione all'Autorità giudiziaria che
può, con decreto motivato, differire il sequestro sino
alla conclusione delle indagini.
Nella fattispecie in esame il "fumus" del delitto
di cui all'art. 600 quater c.p., ipotizzato a carico del *XXXXXXXXX*
é stato desunto dai risultati delle investigazioni
esperite dai Carabinieri del Nucleo operativo del Comando
provinciale di Asti i quali, di loro iniziativa e senza preventiva
autorizzazione dell'Autorità giudiziaria, avevano stipulato,
utilizzando un nome fittizio, un contratto di accesso ad Internet
e, pagando il relativo prezzo con carta di credito della quale
si sconosce l'intestatario, si erano procurati l'accesso ad
un sito nel quale si potevano osservare ed acquistare immagini
pedo-pornografiche realizzate mediante lo sfruttamento sessuale
di minori degli anni diciotto.
Siffatta attività investigativa, dichiaratamente finalizzata
all'accertamento del reato previsto dall'art. 600 ter c.p.,
mirante a contrastare e reprimere delitti di pornografia minorile
e condotta "sotto copertura", avrebbe dovuto essere
preventivamente autorizzata dall'Autorità giudiziaria
ed i relativi risultati avrebbero potuto essere utilizzati
al fine di acquisire elementi di prova solo in ordine ai reati
di cui agli artt. 600 bis co. 1^, 603 ter co. 1^, 2^ e 3^,
nonché 600 quinquies c.p.
Essa é stata, invece, utilizzata sebbene illegittimamente
esperita e per l'accertamento del reato previsto dall'art.
600 quater c.p., ipotizzato a carico del *XXXXXXXXX* non compreso
fra quelli indicati tassativamente dalla norma di legge sopra
riportata.
La tesi del P.M. ricorrente, secondo cui quella in esame
sarebbe stata ordinaria attività di indagine di polizia
giudiziaria non può essere condivisa in considerazione
dell'oggetto della investigazione, delle modalità con
le quali essa é stata condotta e delle finalità
cui era preordinata.
A mente dell'art. 191 c.p.p. le prove acquisite in violazione
dei divieti stabiliti dalla legge non possono essere utilizzate
e la loro inutilizzabilità é rilevabile d'ufficio
in ogni stato e grado del procedimento.
L'attività di contrasto, prevista dall'art. 14 L.
3/8/'98, n. 269, viene legittimata, in vista della gravità
e dell'allarme sociale che alcuni delitti - specificamente
indicati - suscitano, solo nei casi e modi previsti dalla
legge.
Trattasi di legittimazione concessa in via eccezionale, rispetto
alle norme ed ai principi fondamentali del vigente ordinamento
giuridico in tema di acquisizione delle prove, non suscettibile
di interpretazioni o applicazioni in via analogica.
Per le esposte considerazioni il Giudice del riesame ha correttamente
ritenuto non esistente, in atti, il "fumus" del
delitto oggetto di indagini preliminari a carico del *XXXXXXXX*
ed ha annullato il decreto impugnato, considerando che - altrimenti
- le perquisizioni ed il sequestro disposti dal P.M. si sarebbero
tradotti in un mezzo - non consentito - di ricerca ed acquisizione
della prova.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso proposto
dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Asti
avverso l'ordinanza emessa dallo stesso Tribunale, in data
28/7/04, nel procedimento a carico di *XXXXX*
Così deciso in Roma, il 1 dicembre 2004.
Depositato in Cancelleria il 23 dicembre 2004.
Fonte: Altalex.com
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