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SENTENZE DANNO ESISTENZIALE
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Tribunale Penale di Locri, sez. dist. di Siderno, 6 ottobre 2000 [Nascite indesiderate]
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Trib. Pen. Locri, Sez. Dist. Siderno, 6 ottobre 2000 [Giud. Liberati]

Motivi della decisione
A seguito dell’annullamento della precedente sentenza di merito da parte della Corte di Appello di Reggio Calabria, con decreto di citazione del 3 gennaio 2000 Ceravolo Domenico è stato tratto a giudizio innanzi al Tribunale di Locri - sezione distaccata di Siderno per rispondere del reato di cui al capo di imputazione.
All’udienza del 30.5.2000, previo accertamento della sussistenza della condizione di procedibilità, v’è stata costituzione di parte civile da parte di Morabito Giuseppina, la quale ha lamentato la lesione di propri diritti chiedendo, con formula ampiamente ricomprensiva, il risarcimento dei danni patrimoniali e morali (non patrimoniali) subiti.
Sono stati quindi acquisiti documenti (cartella clinica, ecografie, pubblicazioni contenenti parametri e tabelle mediche, oltre al verbale di sequestro della cartella clinica, già presente nel fascicolo in quanto atto irripetibile) e sono stati sentiti i testi Pasquale Loisi, Corasaniti Gregorio, Crinò Claudio, Zimbaro Giovanni (nella loro qualità di CT di parte e di ufficio, ed al termine dei rispettivi esami sono state acquisite le relative consulenze tecniche), Amato Francesco, Morabito Giuseppina (parte civile).
All’udienza del 22.6.2000 il PM ha contestato l’aggravante di cui al comma 2 dell’art. 590 c.p. (lesione gravissima), e quindi, sono stati concessi i termini a difesa ex art. 519 c.p.p. .
All’udienza del 29.9.2000 si è proceduto all’esame dell’imputato, su richiesta del PM e con il consenso del Ceravolo.
Il PM, la Parte Civile e la Difesa hanno quindi concluso come in atti.
Preliminarmente va fugato ogni dubbio in ordine alla sussistenza della condizione di procedibilità.
Infatti va rilevato che la querela in atti, indipendentemente dalle attività di indagini inizialmente svolte e dall’archiviazione del procedimento aperto nei confronti del Ceravolo per le malformazioni della bambina (così come riferito dalla difesa), contiene tutti gli elementi sufficienti a dimostrare la volontà punitive dei querelanti anche in ordine a lesioni da essi subite, ed in particolare appare essere decisamente ampia la formula utilizzata “chiedono espressamente la punizione per il reato di lesioni colpose gravissime e per tutti quegli altri che la S.V. riterrà sussistere nei fatti in premessa narrati”, posto che nella premessa si fa riferimento e che tale punizione si chiede “in proprio ed in qualità di genitori esercenti la potestà parentale”.
Ciò detto, va altresì chiarito che l’oggetto del presente giudizio è limitato alle lesioni psichiche subite dalla Sig.ra Morabito in seguito alla nascita della figlia (a causa delle malformazioni fetali che si assume non diagnosticate), e non riguarda eventuali lesioni che avrebbe subito la bambina a causa della omessa informazione, o l’accelerazione del parto dovuta alla omessa diagnosi, o, ancora, eventuali omissioni di informazioni circa il sesso del nascituro, fatti ai quali ha fatto riferimento, in sede di discussione, la difesa dell’imputato.
L’istruttoria ha consentito di accertare che il Ceravolo, nella sua qualità di medico ecografista, ha assunto l’incarico di seguire la gravidanza della Morabito.
Nell’espletamento del proprio incarico professionale ha effettuato almento tre visite (21 aprile 1993, 17 giugno 1993, 18 agosto 1993), durante le quali ha svolto esami ecografici - presso lo studio del dott. Macrì, in Siderno - finalizzati a verificare il regolare decorso della gestazione (cfr. documentazione medica allegata, testi Amato e Morabito, esame dell’imputato).
Nel corso degli esami è stato verificato dal dott. Ceravolo il regolare sviluppo del feto, e non è stata diagnosticata nessuna anomalia (cfr. testimonianze di Amato e Morabito, documentazione medica, consulenze tecniche, esame imputato).
In particolare tutte le ecografie, effettuate rispettivamente nella 14°, 22° e 32° settimana, riportano specifiche misurazioni di alcuni arti attestano la “normale evoluzione della gestazione”.
Al termine della gravidanza, il giorno 16 ottobre 1993, è nata una bambina, Rosa Maria, con gravi malformazioni fisiche, ed in particolare mancante di alcuni arti o parti di atti, quali: (a) arti superiori - ipoplasia di entrambe le mani con assenza di 4° e 5° dito e sindattilia tra 2° e 3°; (b) arti inferiori - arto destro: agenesia del femore e del perone con piede ipotrofico a 4 dita, tibia torta; arto sinistro: agenesia del perone, tibia torta con piede ipotrofico a 4 dita e displasia dell’anca (cfr. Ctu).
Le anomalie riscontrate nella piccola Rosa Maria erano chiaramente riscontrabili nel corso dei vari esami (cfr. consulenze tecniche).
Il Ctu Loisi, in particolare, ha evidenziato come già dal 1993, epoca dell’esame, era certamente possibile verificare la sussistenza di simili anomalie con i mezzi scientifici esistenti, e, sebbene con più difficoltà ai successivi (stante il minor sviluppo del feto alla 14° settimana), già dal primo esame.
Il Ctu ha chiarito anche che nel corso dell’esame, così come svolto dal Ceravolo, non sono state documentate riprese filmate, ma, come usualmente avviene, sono stati stampati solo alcuni fotogrammi del feto, per campione, allegati al referto diagnostico. In base ai detti fotogrammi non è possibile vedere con chiarezza l’esistenza di malformazioni: ciò è giustificato proprio dalla frammentarietà data dal tipo di documentazione allegata (per fotogrammi e non in filmato), ma non esclude affatto che nello svolgimento dell’intero esame fosse riscontrabile la sussistenza della malformazione.
Il corretto svolgimento dell’esame ecografico - come chiarito dal Ctu - impone, anzi, una valutazione completa dello stato del feto, attraverso lo spostamento della sonda, laddove sia impedita una chiara visione e, al limite, attendendo lo stato di riposo del feto, quando, a causa dei movimenti, sia impedita la visione di alcune parti del corpo.
Talune ossa, comunque, sono molto visibili, e tra queste va annoverato il femore (cfr. anche parametri SIEOG, società italiana operatori ecografisti).
Gli esami, poi, secondo le linee guida della SIEOG dovrebbero essere effettuati tre volte durante la gestazione, uno per trimestre, ed in particolare alla 12° settimana, dopo la dodicesima settimana (e preferibilmente tra la 18° e 25° settimana), e quasi alla fine della gravidanza.
Successivamente alla 12° settimana iniziano a comparire gli arti, che devono essere identificati e misurati (di norma con la seconda ecografia, ma nel caso di specie, già la prima ecografia - essendo effettuata alla 14° settimana - avrebbe consentito la misurazione), e va riscontrata la presenza delle mani e dei piedi.
Solo nell’ultimo trimestre, poi, è possibile verificare l’esistenza delle dita (cfr. anche consulente Zimbaro).
Nel corso degli esami successivi alla 13° settimana vanno evidenziati e misurati entrambi i femori, mentre nelle ecografie effettuate dal Dott. Ceravolo ne viene misurato uno solo.
L’eventuale dubbio circa la identificazione di un osso quale femore anziché come omero, deve poi essere fugato attraverso la verifica della sussistenza del perone e della tibia “in continuazione” con il femore stesso. Il femore, si è detto, rientra tra le ossa particolarmente visibili, non così, invece, per le singole dita.
L’iter diagnostico suggerito nei parametri della SIEOG riesce ad assicurare la più scrupolosa verifica nell’accertamento delle anomalie fetali. In questo senso non risulta condivisibile il dato riferito dalla difesa, in sede di discussione, circa la identificabilità delle anomalie scheletriche esistenti nel feto solo nel 2% (due per cento) dei casi.
Le malformazioni interessanti l’apparato scheletrico non sono curabili prima della nascita del bambino e non sono eziologicamente collegate con omissioni diagnostiche nella fase prenatale (cfr. esame Ctu Loisi).
L’ecografia è un esame non invasivo, ripetibile senza alcuna controindicazione. Il codice deontologico medico, e l’ordinamento giuridico italiano, impongono un obbligo di informazione piena da parte del medico nei confronti del paziente (cfr. anche Cass., sez. VI pen., n. 3599 del 18.4.97).
La Morabito, successivamente alla nascita della bambina, ha manifestato una sindrome ansiosa con tonalità depressive, a causa del modo in cui ha vissuto la nascita del figlio (cfr. teste Corasaniti). Le ragioni di simile reazione vanno ricercate nella fragile personalità di base della stessa, la quale, alla nascita improvvisa di una bambina malformata, non ha saputo reagire, ed ha trasformato aspetti “fisiologici e caratteriali”, in una vera e propria patologia strutturata e permanente (cfr. CT Crinò).
La lesione subita dalla donna ha carattere di probabile insanabilità, in quanto legata alla causa che la ha provocata (la figlia nata), causa che non è quindi eliminabile.
Tale malattia non può essere considerata come una manifestazione post partum; è infatti una lesione qualificabile come sindrome ansiosa depressiva che è perdurata nel tempo e che è da considerare come malattia in quanto è una modificazione strutturale della mente: essa ha inoltre carattere reattivo, conseguente al vissuto legato alla presenza delle malformazioni della figlia (cfr. esame CT Corasaniti e Crinò).
A causa della detta patologia la Morabito ha sviluppato una difficoltà relazionale che non le consente di vivere con serenità il rapporto con gli altri, ed in particolare ha sviluppato un senso di rabbia e di disperazione (dati riferiti al novembre 1995, cioè un anno, un anno e mezzo dopo la nascita) che le impedisce di avere facili relazioni all’esterno e di vivere pienamente ciò che di positivo potrebbe derivarle dal suo interagire con la realtà esterna (cfr. consulenze tecniche, teste Amato, dichiarazioni della stessa parte offesa).
Nel corso di tempo interessante i vari esami effettuati la Morabito avrebbe potuto porre in essere la procedura di interruzione della gravidanza, non ai sensi dell’art. 4 l. 194/1978 (in quanto, già dalla prima ecografia, effettuata alla 14° settimana, era stato superato il prescritto termine di 90 giorni dall’inizio della gestazione), ma ai sensi dell’art. 6 della medesima legge, in quanto al momento delle ecografie vi era ancora la possibilità di interrompere la gravidanza per accertati processi patologici, nel caso di specie afferenti a rilevanti malformazioni del nascituro, che avrebbero determinato un grave pericolo per la salute psichica della donna (come prevedibile, del resto, in considerazione delle pregresse caratteristiche fisiologiche della stessa), ed -almeno al momento delle prime due ecografie- il feto non aveva ancora possibilità di vita autonoma.
E’ pertanto accertata la sussistenza di una lesione gravissima (in quanto probabilmente insanabile) a carico della Morabito, legata alla nascita della figlia malformata.
E altresì dimostrata la sussistenza di responsabilità colpose, per negligenza, imperizia ed imprudenza nella condotta posta in essere dall’imputato, il quale ha omesso di diagnosticare le evidenti malformazioni a causa di esami non sufficientemente accurati, e non rispettosi delle linee guida indicate dalla SIEOG, che impongono, successivamente alla 12° settimana, la misurazione di tutti gli arti, la reiterazione degli esami in caso di dubbio e, comunque, il più scrupoloso accertamento delle condizioni del feto.
Gli esami ecografici, invece, oltre a non contenere tutte le misurazioni e le identificazioni richiesta, attestano il regolare decorso della gestazione e sviluppo del feto.
L’elemento soggettivo colposo è presente in tutti gli esami ecografici attraverso i quali si è concretamente esternato l’incarico professionale assunto dal Ceravolo, quello, cioè, di seguire la gravidanza e presenta un crescente grado di responsabilità legato al trascorrere del tempo ed al progressivo sviluppo del feto: se l’omessa diagnosi delle malformazioni nella 14° settimana può integrare gli estremi di una colpa lieve (ritenuta comunque dal giudicante, contrariamente a quanto richiesto dalle regole applicate nel codice civile, che impongono la sussistenza di colpa grave [art. 2236 c.c.], ad integrare gli estremi del reato di cui all’art. 590 c.p.), certamente le omissioni inerenti la 22° e 32° settimana non possono che connotare la responsabilità colposa del Ceravolo di una notevole gravità.
Ciò può dirsi sia in considerazione dello sviluppo del feto, che consentiva sicuramente di effettuare la identificazione delle singole ossa e la misurazione, sia in virtù della specifica professionalità del Ceravolo, il quale si è proposto alla Morabito nella specifica qualità di ecografista.
Il parametro di riferimento da utilizzare nel valutare l’imperizia e la negligenza poste in essere nell’esercizio dell’attività professionale medica, deve infatti correlarsi alla qualifica ed alla specializzazione dell’imputato.
Nella fattispecie si tratta di medico ecografista, che si è proposto, accettando l’incarico affidatogli, quale specialista idoneo a garantire il corretto svolgimento delle analisi (nel caso, esame ecografico) necessarie per il regolare controllo dell’evolversi della gestazione, assicurando perciò specifiche competenze in materia di ecografie, ed anche, in materia di medicina prenatale.
La posizione di garanzia assunta dal dott. Ceravolo con l’accettazione dell’incarico professionale, comprendente il controllo della salute della madre e del feto legate all’evolversi della gestazione (cfr. anche esame dell’imputato), nonché l’obbligo di informazione impostogli dalle norme giuridiche e deontologiche, consentono quindi di ritenerlo responsabile dell’evento lesivo verificatosi, che aveva il dovere di impedire (art. 40 cp).
Non può inoltre parlarsi di errore sul fatto, come esposto nella tesi difensiva, posto che l’errore in oggetto (errore sulla sussistenza di anomalie del feto) è proprio il rimprovero che viene mosso all’imputato in ordine all’attività svolta. Né potrebbe parlarsi, per le stesse ragioni, di errore sul fatto in ordine allo scambio del femore con l’omero.
L’errore sul fatto determinato da colpa (e l’eventuale errore in cui sarebbe incorso il Ceravolo è dovuto alla negligenza ed imperizia che hanno connotato il suo operato, non rispettoso dei normali parametri diagnostici), si evidenzia, non esclude la punibilità quando il fatto è previsto dalla legge come diletto colposo.
La lesione subita alla p.o. è riconducibile alla condotta omissiva dell’imputato, in virtù di un duplice ordine di motivi.
Innanzitutto la Morabito non ha avuto la possibilità di porre in essere procedure abortive. L’interruzione della gravidanza, infatti, avrebbe consentito alla stessa di superare il trauma momentaneo in quanto, come accertato in istruttoria, la lesione -probabilmente insanabile- è legata alla esistenza in vita della figlia. Stante le pregresse connotazioni caratteriali della Morabito, inoltre, era ben possibile prevedere l’insorgere di una patologia mentale, e, quindi, sussistevano i requisiti di cui all’art. 6 l. 194/1978 per l’interruzione successiva al novantesimo giorno di gestazione (con esclusione, però, dell’ultima ecografia, in quanto alla 32° settimana il feto aveva possibilità di vita autonoma).
La seconda ragione per la quale la patologia della Morabito è riconducibile alla omessa diagnosi è da rinvenire nell’immediatezza della situazione che la stessa si è trovata a fronteggiare. In altre parole una tempestiva diagnosi della malformazione avrebbe comunque consentito alla puerpera di prepararsi, con il tempo, ad affrontare la situazione, obiettivamente gravosa per una persona così fragile.
Ciò può dirsi in virtù delle peculiari caratteristiche con cui si è manifestata sin dall’inizio la reazione della donna, così come descritta dalla stessa e analizzata nelle diverse consulenze. Dai dati clinici riferiti può infatti desumersi che la Morabito, qualora fosse stata preavvertita dalla situazione, avrebbe avuto il tempo di prepararsi all’esperienza, e l’eliminazione dell’ “effetto sorpresa” avrebbe certamente diminuito la gravità della propria reazione, e, quindi, l’insorgere della patologia.
L’esistenza delle pregresse connotazioni fobiche e dappiche della Morabito, invece, non va qualificata come concausa ex se sufficiente a provocare la lesione (rilevanti ex art. 41 c.p. ed in grado di escludere il nesso causale), in quanto nello sviluppo della patologia mentale lamentata -derivante dalla modificazione di tali caratteristiche fisiologiche in manifestazioni strutturali e permanenti- ha un ruolo esclusivo la nascita della figlia a seguito della gravidanza, la cui interruzione è stata di fatto impedita dalla omessa informazione diagnostica, oltre all’improvvisa presa di coscienza della situazione da parte della gestante, anch’essa eziologicamente legata alla condotta colposa del Ceravolo (cfr. esame CT Corasaniti e Crinò).
Con riferimento alle pretese di natura privatistica richieste dalla costituita parte civile, va evidenziato che dalla condotta colposa del Ceravolo, ed in particolare dalla condotta gravemente colposa posta in essere successivamente alla prima ecografia, è certamente derivato un danno risarcibile, così come richiesto, con formula ampiamente ricomprensiva, in sede di costituzione ed in sede di conclusione.
In particolare sono stati provati, nel corso dell’istruttoria: (a) danno biologico: dalla nascita della figlia malforme, è derivato alla p.o. un danno di tipo biologico, in conseguenza della lesione dell’integrità psico-fisico subita (cfr. anche Trib. Roma, 13 dicembre 1994, in “Diritto di famiglia e delle persone”, 1995, pp. 662 e ss.). La madre ha infatti riportato un danno alla salute psichica, qualificabile come reazione ansioso depressiva, con caratteristiche patologiche probabilmente insanabili. La stessa ha altresì somatizzato e manifestato tale patologia attraverso tachicardia, stanchezza fisica, crisi di pianto, rabbia e disperazione, ed è dovuta ricorrere all’utilizzo di medicinali quali il Tavor, il Lexotan, il Valium (cfr. deposizioni Crinò, Morabito, Amato); (b) danno morale: in conseguenza del carattere penale dell’illecito posto in essere, sussistono anche i danni morali in senso stretto (artt. 2059 cc, 185 cp); (c) danno esistenziale (cfr. Cass., sez. I civ., 10.1.2000/7.1.2000, n. 7713): sia come danno esistenziale puro che come danno biologico-esistenziale.
In conseguenza delle limitazioni subite nelle attività realizzatrici della persona, ed in particolare del peggioramento del modo di vivere le attività precedentemente poste in essere e l’interazione con terzi (paura di essere giudicata, difficoltà nell’intrattenere conversazioni comunque concernenti la malattia della figlia, l’essere osservata diversamente quando è in compagnia della figlia a causa dell’handicap di quest’ultima, e di un’inadeguata preparazione psicologica a simili situazioni, dovuta alla mancata previsione dell’evento), può dirsi infatti sussistente un danno biologico-esistenziale (danno alla sfera esistenziale “mediato” dagli aspetti medici conseguenti all’illecito).
E’ provato altresì il danno esistenziale puro (sub specie della categoria del danno alla vita di relazione, per la parte non riconducibile ad aspetti medico-legali): le necessarie e consistenti cure da prestare alla bambina hanno di fatto impedito alla madre lo svolgimento delle attività prima abitualmente svolte (uscire con gli amici e parenti, andare al mare, andare a cena fuori), con un evidente danno per la stessa nella propria sfera relazionale esterna (cfr. teste Amato, Morabito, consulenze tecniche).
E’ tuttavia necessario, al fine di comprendere pienamente la portata delle singole voci risarcibili cui si è fatto riferimento, evidenziare le differenze ontologiche e giuridiche intercorrenti tra le diverse tipologie di danno alla persona.
Per danno biologico si deve intendere infatti il danno alla integrità psico-fisica della vittima. Esso non è riconducibile né alla figura dei danni patrimoniali, né a quella dei danni morali in senso stretto, ma è invece risarcibile come autonoma voce ai sensi degli artt.2043 c.c. e 32 Cost., in quanto costituente ingiusto danno alla salute dell’individuo.
Da esso va nettamente distinto il danno morale (in senso stretto), che è il patema di animo subito in conseguenza di un illecito di natura penalistica, riconducibile, per gli aspetti risarcitori, agli artt. 2059 c.c. e 185 c.p., e sussistente qualora l’illecito costituisca anche resto.
Ulteriore e diversa figura di danno è, poi quello esistenziale. Esso consiste nel danno che l’individuo subisce alle attività realizzatrici della propria persona, risarcibile ex art. 2043 c.c., e va distinto dal danno biologico in virtù della matrice medico legale di quest’ultimo. Tale figura di danno copre cioè tutte quelle lesioni che, non riconducibili a danni patrimoniali o biologici in senso stretto, insistono su interessi giuridicamente protetti e meritevoli di tutela all’interno del nostro ordinamento.
All’interno del danno esistenziale possono comunque distinguersi il danno esistenziale puro ed il danno biologico-esistenziale: anche nella sfera esistenziale, infatti, possono essere presenti componenti “biologiche”. Ciò accadrà qualora la limitazione all’attività realizzatrice della propria persona sia non l’immediata conseguenza dell’illecito (ho subito l’illecito e quindi non posso fare più: danno esistenziale puro), ma la conseguenza “mediata” dall’aspetto biologico (sto male) conseguente l’illecito (sto male a causa dell’illecito subito e quindi non posso fare più), in una visione cioè dinamica.
Le possibili voci riconducibili a simili categorie sono decisamente ampie, e si incentrano nella lesione della sfera ontologico-esistenziale, senza interessare aspetti medico legali, pur se talune figure possono presentare una duplice valenza -con aspetti rientranti in parte nel danno esistenziale, in parte nel danno biologico- o, come visto, essere legate per via mediata al danno biologico (gli illeciti risarcibili sotto la categoria del danno esistenziale, pertanto, e con un’elencazione non esaustiva, sono riconducibili a manifestazioni di “mobbing”, trasmissione di malattie, discriminazioni razziali, sessuali o religiose, uccisione di animali significativi per l’individuo, sequestro di persona, costrizione alla prostituzione, violazione del diritto alla riservatezza, induzione o agevolazione del consumo di droga, abusi sessuali, furto o danneggiamento di oggetti particolarmente cari, plagio da parte di sette o santoni, molestie sul lavoro, ingiustizie e vessazioni in ambito scolastico/universitario, abbandono di persone incapaci, ecc.).
In tali illeciti, infatti, oltre alle tradizionali voci di danno già riconosciute e rinvenibili caso per caso, possono facilmente individuarsi tipologie di lesioni più correttamente riferibili alla sfera esistenziale.
Al danno esistenziale vanno poi ricondotte anche altre figure di danno già riconosciute dalla giurisprudenza: tra queste si evidenziano il danno alla vita di relazione, il danno alla serenità familiare, il danno alla serenità sessuale, con esclusione degli aspetti medico legali afferenti al danno biologico.
Esse infatti non possono essere ricondotte alla figura del danno patrimoniale, neanche sub specie del danno indiretto, posto che la loro natura appare evidentemente diversa, pur essendo suscettibili di una valutazione patrimoniale. Né possono essere ricondotte al danno morale in senso stretto (risarcibile, ex art. 2059 cc), o al danno biologico (interessante aspetti medico-legali, anche se, con riferimento a quest’ultima figura, si è detto, potranno esservi interferenze).
A simili argomentazioni, come anticipato, si deve quindi anche far ricorso per l’inquadramento dogmatico del danno alla vita di relazione: esso è un danno inerente le limitazioni alla possibilità di interagire con l’esterno, sia inteso come occasioni di rapporti umani (es. frequentazione di amici e parenti), sia come rapporto con la realtà esterna (es. recarsi in determinati luoghi), sia come limitazione allo svolgimento di attività (es. hobby, sport, attività culturali).
In questi termini esso potrà o costituire una lesione della sfera attinente le attività realizzatrici della persona (considerando la limitazione quantitativa o qualitativa subita nelle possibilità di interagire con l’estero) e quindi afferente al danno esistenziale (rispetto al quale si pone come sottocategoria), o, invece, minare l’integrità psico-fisica della persona (qualora comporti una vera e propria patologia), e in tal senso si dovrà parlare di danno biologico.
Non potrà invece parlarsi, per i motivi suddetti, di danno alla vita di relazione come danno patrimoniale indiretto.
Ciò detto, possono essere individuati i danni risarcibili nella fattispecie per cui è procedimento.
La domanda della p.o., che con formula ampiamente ricomprensiva ha richiesto tutti i danni patrimoniali e morali subiti (da intendersi, come si evince dalla lettura dell’intero atto di costituzione, in senso lato, come tutti i danni non patrimoniali, così come ribadito anche in sede di conclusioni) per un totale di 96.707.812 lire, è infatti in grado di ricomprendere tutte le diverse voci risarcibili a titolo di danno alla persona, la cui sussistenza è stata accertata nell’istituzione dibattimentale. Ciò a prescindere dalla corretta qualificazione giuridica delle stesse voci.
La parte civile, infatti, sia in sede di costituzione che in sede di conclusioni, pur evidenziando con chiarezza la esistenza di danni alla sfera esistenziale, relazionale, biologica e morale, ha ricompreso tali figure nel danno patrimoniale (diretto ed indiretto) e nel danno morale.
Tale qualificazione non è, ad avviso dello scrivente, corretta, posto che il danno biologico e quello esistenziale (ivi compresa la sottocategoria del danno alla vita di relazione) sono figure dotate di una propria autonomia, rientranti, in senso lato, nel danno non patrimoniale (o, con espressione ampiamente ricomprensiva, nel danno morale), e non nel danno patrimoniale indiretto, per le ragioni dettagliatamente esposte.
Ciò non esclude, comunque, la completezza della istanza risarcitoria proposta e, pertanto, devono essere risarciti sia il danno biologico, che il danno esistenziale (sia puro che biologico-esistenziale), che il danno morale.
In considerazione della natura del danno arrecato è inoltre opportuno che lo stesso sia liquidato in via equitativa (cfr. anche Tribunale Civile di Roma, 13 dicembre 1994, precedente specifico), e non, come richiesto dalla parte civile, per punti tabellari. Tali valori, comunque, costituirebbero un parametro meramente indicativo.
La liquidazione in forma equitativa rende pertanto superflui ulteriori accertamenti (per la determinazione di punti tabellari), e il danno viene quindi risarcito integralmente in questa sede.
Quanto al danno biologico (qualificato come voce di danno patrimoniale nella comparsa conclusiva), appare equo determinare la somma da risarcire in lire 50.000.000 (cinquantamilioni).
A tale somma, va aggiunto il risarcimento per il danno esistenziale (anch’esso impropriamente ricompreso nella voce biologico-patrimoniale nella comparsa conclusiva), che si liquida equitativamente in lire 20.000.000 (ventimilioni).
Va in fine liquidato il danno morale, che si valuta equitativamente in lire 20.000.000 ( ventimilioni).
Un’ultima considerazione attiene ai danni patrimoniali (in senso proprio) lamentati, la cui sussistenza non è stata dimostrata, se non con riferimento all’uso di quantitativi non meglio specificati di medicinali (psicofarmaci tipo lexotan, tavor), di cui comunque non è stata data prova dell’acquisto.
Non è inoltre stata provata in nessun modo la esistenza di altre spese mediche o di diminuzioni dell’attività lavorativa della Morabito.
Non, può, infine, per i motivi ampiamente esposti, essere considerato come danno patrimoniale il danno alla vita di relazione (risarcito sub specie di danno biologico e di danno esistenziale).
Il danno patrimoniale, quindi, non è allo stato risarcibile.
Non hanno poi interessato la decisione, in quanto neanche astrattamente risarcibili, i danni patrimoniali inerenti le cure per la bambina (posto che la malformazione da cui è affetta non è riconducibile in alcun modo all’attività dell’imputato), né eventuali voci di danno biologico od esistenziale della piccola Rosa Maria (in quanto il nostro ordinamento considera il bene della vita come primario ed irrinunciabile, a fronte del quale non è possibile lamentare un “diritto a nascere sani”).
Al di fuori di questo giudizio, infine, anche gli eventuali danni subiti dal padre della bambina.
Risulta pertanto integrato da parte dell’imputato il reato di cui all’art. 590 c.p.: all’omissione della diagnosi, dovuta a colpa del Ceravolo, è eziologicamente legata la lesione (malattia nella mente) subita dalla signora Morabito Giuseppina.
Sussiste altresì la circostanza aggravante di cui all’art. 590 comma 2 c.p. in relazione all’art. 583 c.p., posto che la lesione si configura come gravissima, in quanto probabilmente non sanabile.
In considerazione dell’assistenza di precedenti penali in capo all’imputato devono ritenersi sussistenti le circostanze attenuanti generiche.
L’imputato va conseguentemente condannato ad una pena che appare equo determinare in lire 500.000 (cinquecentomila) di multa.
La pena è stata così determinata: una pena base lire 600.000 (seicentomila) di multa, ridotta a lire 500.000 (cinquecentomila) di multa per le circostanze attenuanti generiche, da ritenere prevalenti sulla contestata aggravante.
In considerazione dell’assenza di precedenti a suo carico e della sussistenza di tutti i presupposti di legge, può essergli concesso il beneficio della sospensione condizionale della pena e della non menzione.
La condanna al pagamento delle spese processuali consegue ex lege.
Il Ceravolo va altresì condannato al risarcimento dei danni in favore della parte civile costituita, che si liquidano equitativamente (art. 1226 c.c., 2056 c.c.) in complessive lire 90.000.000 (novantamilioni), oltre gli interessi legali dal giorno della nascita della bambina (data da cui si sono manifestate le conseguenze patologiche sulla Morabito), ed alla rifusione, in favore della medesima parte civile, delle spese di costituzione e difesa, da liquidare in complessive £ 3.356.000, di cui £ 3.162.000 per onorari e £ 194.000 per spese documentate, oltre spese generali, IVA e CAP.
Non può quindi essere accolta l’istanza di provvisionale ex art. 539 cpp, richiesta dalla parte civile, in quanto il danno viene liquidato in via equitativa contestualmente alla sentenza.
Si ritiene inoltre sussistere i giustificati motivi addotti dalla parte civile per la dichiarazione di provvisoria esecuzione delle disposizioni civili, stante la necessità di prestare cure mediche senza ulteriore ritardo.
Per questi motivi
Visti gli artt. 533, 535, c.p.p.,
Dichiara
Ceravolo Domenico colpevole del reato ascrittogli, e ritenuta la sussistenza delle circostanze attenuanti generiche da ritenere prevalenti sulla contestata aggravante, lo
Condanna
alla pena di lire 500.000 (cinquecentomila) di multa, oltre al pagamento delle spese processuali.
Pena sospesa e non menzione.
Visti gli artt. 538 ss. c.p.p.,
Condanna
Ceravolo Domenico al risarcimento dei danni in favore della parte civile costituita, che si liquidano equitativamente in complessive lire 90.000.000 (novanta milioni), oltre gli interessi legali dal giorno 16 ottobre 1993.
La condanna al risarcimento del danno è provvisoriamente esecutiva ai sensi dell’art. 540 cpp.
Condanna infine l’imputato alla rifusione, in favore della citata parte civile, delle spese di costituzione e difesa, che liquida in complessive £ 3.356.000 di cui £ 3.162.000 per onorari e £ 194.000 per spese documentate, oltre spese generali, IVA e CAP, come per legge.
Ai sensi dell’art. 544 cpp, si indica in giorni 15 il termine per il deposito della motivazione.

   La redazione di megghy.com

 
 
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