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FISCO E TRIBUTI
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I principi dello Statuto del contribuente prevalgono sulle altre norme tributarie
( Articolo di Giuseppe Mommo 06.08.2004 )
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I PRINCIPI DELLO STATUTO DEL CONTRIBUENTE PREVALGONO SULLE ALTRE NORME TRIBUTARIE
Annotazioni di commento e di sintesi alla sentenza della Cassazione 14.04.2004 n. 7080

Giuseppe Mommo


La sezione tributaria della Corte di Cassazione, con la recente sentenza del 14 aprile 2004, n. 7080, è tornata a pronunciarsi e ad offrire ulteriori chiarimenti in merito ai principi espressi nelle disposizioni dello statuto del contribuente o desumibili da esso, confermando come gli stessi abbiano una rilevanza del tutto particolare nell'ambito della legislazione tributaria ed una sostanziale superiorità rispetto alle altre disposizioni vigenti in materia.

Occorre premettere che il legislatore con l’approvazione della legge 27 luglio, n. 212 del 2000, contenente le disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente, ha inteso mettere ordine e venire incontro alle difficoltà interpretative in cui si imbatteva chiunque avesse a che fare con il complesso apparato normativo fiscale composto da una molteplicità di fonti legislative e regolamentari.

Secondo quanto affermato al primo comma dell'articolo 1, le disposizioni dello statuto, emanate in attuazione degli articoli 3, 23, 53 e 97 della Costituzione, “costituiscono principi generali dell'ordinamento tributario e possono essere derogate o modificate solo espressamente e mai da leggi speciali".

Solo per fare qualche cenno sulle disposizioni più innovative e discusse, l’articolo 6 dello statuto sancisce al comma 1 il cosiddetto principio di "conoscenza degli atti", disponendo testualmente che "l'amministrazione finanziaria deve assicurare l'effettiva conoscenza da parte del contribuente degli atti a lui destinati".

Quindi, prima che il contribuente abbia conoscenza degli atti che incidono sulla sua posizione debitoria o creditoria nei confronti del fisco, gli atti stessi non possono produrre effetti.

La Cassazione già nel 2001 (Cassazione Civile Sent. n. 4760 del 30-03-2001) aveva stabilito che l'articolo 6 citato, inquadrato nella enunciazione di cui all'articolo 1 secondo il quale le disposizioni dello Statuto costituiscono principi generali dell'ordinamento tributario, tendenti ad attuare gli articoli 3, 23, 53 e 97 della Costituzione, assume un inequivocabile valore interpretativo perché si tratta di un “principio che deve aiutare l'interprete a ricavare dalle norme il senso che le renda compatibili con i principi costituzionali citati”.

Lo statuto si può dire che impronta tutto il sistema tributario alla tutela dell'affidamento e della buona fede prevedendo all’articolo 10 il “principio della tutela del legittimo affidamento” del contribuente.

Ne consegue che, di fronte all'azione dell'Amministrazione, le sue disposizioni devono ritenersi applicabili anche ai rapporti tributari sorti prima della sua entrata in vigore.

Sul punto la Cassazione, prima di quest’ultima decisione di seguito annotata, aveva stabilito: ”Il principio della tutela del legittimo affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica, che trova la sua base costituzionale nel principio di eguaglianza dei cittadini dinanzi alla legge ( art. 3 Cost.), e costituisce un elemento essenziale dello Stato di diritto e ne limita l'attività legislativa e amministrativa, è immanente in tutti i rapporti di diritto pubblico ed anche nell'ambito della materia tributaria, dove è stato reso esplicito dall'art. 10, comma primo, della legge n. 212 del 2000 (cosiddetto Statuto del contribuente). Quest'ultima previsione - a differenza di altre che presentano un contenuto innovativo rispetto alla legislazione presistente - costituisce una delle disposizioni statutarie che, per essere espressive - ai sensi dell'art. 1 della stessa legge n. 212 del 2000 - dei principi generali, anche di rango costituzionale, già immanenti nel diritto e nell'ordinamento tributario, vincolano l'interprete in forza del canone ermeneutico dell'interpretazione adeguatrice a Costituzione, ed è - pertanto - applicabile anche ai rapporti tributari sorti in epoca anteriore alla sua entrata in vigore”. (Cass. Sez. V, sent. n. 17576 del 10-12-2002).

Vediamo ora in sintesi, come lo statuto del contribuente è stato trattato ed interpretato dalla Cassazione tributaria nella recente decisione dell’aprile scorso.

In primo luogo i giudici di legittimità hanno chiarito che la materia dell'efficacia temporale delle leggi tributarie è oggi regolata dallo statuto in quanto l'art. 3, al primo comma, stabilisce inequivocabilmente, che - salvo i casi eccezionali in cui è ammessa l'emanazione di norme interpretative - "le disposizioni tributarie non hanno effetti retroattivi."

Viene pure precisato che questa disposizione deve essere interpretata ed applicata alla luce di quanto affermato nell'art. 1 della stessa legge, che ha inteso attribuire alle proprie disposizioni il valore di "principi generali dell'ordinamento tributario".

Richiamando la precedente decisione della stessa Corte (Cass. civ., 10 dicembre 2002, n. 17576, la cui massima è stata riportata), viene ribadito che “questa autoqualificazione trova puntuale rispondenza nella effettiva natura della maggior parte delle disposizioni stesse, quale si desume dal loro contenuto normativo, dal loro oggetto, dal loro scopo e dalla loro incidenza nei confronti di altre norme della legislazione e dell'ordinamento tributari, nonché dei relativi rapporti".

Queste specifiche "clausole rafforzative" di autoqualificazione delle disposizioni stesse vengono ad assumere “un preciso valore normativo ed interpretativo sia perché hanno la funzione di dare attuazione alle norme costituzionali richiamate dallo statuto sia perché costituiscono principi generali dell'ordinamento tributario”.

Proprio per il fatto che il legislatore ha manifestato esplicitamente l'intenzione di attribuire ai principi espressi nelle disposizioni dello statuto, o desumibili da esso, una rilevanza del tutto particolare nell'ambito della legislazione tributaria ed una sostanziale superiorità rispetto alle altre disposizioni vigenti in materia “qualsiasi dubbio interpretativo o applicativo sul significato e sulla portata di qualsiasi disposizione tributaria, che attenga ad ambiti materiali disciplinati dalla legge n. 212 del 2000, deve perciò essere risolto dall'interprete nel senso più conforme ai principi dello statuto del contribuente, cui la legislazione tributaria, anche antecedente, deve essere adeguata anche al di là delle modificazioni, relativamente modeste, introdotte nella normativa previgente con il decreto legislativo 26 gennaio 2001, in applicazione di una delega contenuta nell'art. 16 della stessa legge, n. 212 del 2000”.

L’interprete è chiamato ad applicare un criterio secondo cui i principi statutari non sono diretti al futuro legislatore tributario, ma anche “con riferimento a leggi tributarie che non siano state oggetto di correzione, vale a dire virtualmente tutte le altre norme dell'ordinamento tributario”.

Il valore “ermeneutico” dei principi statutari, come già sottolineato dalla Corte (Cass. civ., n. 17576/2002), si fonda su due rilievi: "quello, secondo cui l'interpretazione conforme a statuto si risolve, in definitiva, nell'interpretazione conforme alle norme costituzionali richiamate, che lo statuto stesso dichiara esplicitamente di attuare nell'ordinamento tributario", e, l’altro, diretta conseguenza del primo, "secondo cui (alcuni dei principi posti dalla legge n. 212 del 2000 - proprio in quanto esplicitazioni generali, nella materia tributaria, delle richiamate norme costituzionali - debbono ritenersi "immanenti" nell'ordinamento stesso già prima dell'entrata in vigore dello statuto e, quindi, vincolanti l'interprete in forza del fondamentale canone ermeneutico della "interpretazione adeguatrice" a Costituzione: cioè, del dovere dell'interprete di preferire, nel dubbio, il significato e la portata della disposizione interpretata conformi a Costituzione."

Viene precisato che questo valore ermeneutico opera nei limiti del più generale principio dell'irretroattività della legge.

Quindi, “nell'ambito delle disposizioni statutarie si devono distinguere quelle che sono espressione di principi già immanenti nel diritto o nell'ordinamento tributario e quelle che - pur dettate in attuazione delle norme costituzionali richiamate nello statuto del contribuente - presentano, invece, un contenuto totalmente o parzialmente innovativo rispetto a quello della legislazione tributaria preesistente.

Anche l'art. 3 della legge n. 212/2000, in materia di irretroattività delle disposizioni tributarie, deve essere inquadrato “nell'ambito del principio enunciato dall'art. 1 della legge ed assume perciò un preciso valore interpretativo, quale criterio per consentire all'interprete di ricavare dalla lettera delle norme il senso che le renda compatibili con i principi costituzionali richiamati nello statuto”.

Il principio della irretroattività delle leggi tributarie, viene sottolineato, non può considerarsi un principio già immanente nell'ordinamento (tanto è vero che la costituzione prevede, all'art. 25, un divieto di irretroattività solamente per le disposizioni penali), ma nello statuto in discorso costituisce una garanzia (ulteriore) attribuita ai contribuenti ed è “pur sempre un valido criterio interpretativo da applicare anche alla normativa preesistente ed anche con riferimento a fattispecie anteriori”.

Quindi: “ogni qual volta una normativa fiscale sia suscettibile di una duplice interpretazione, una che ne comporti la retroattività ed una che l'escluda, l'interprete dovrà dare preferenza a questa seconda interpretazione come conforme a criteri generali introdotti con lo statuto del contribuente, e attraverso di esso ai valori costituzionali intesi in senso ampio e interpretati direttamente dallo stesso legislatore attraverso lo statuto”.

Aggiungono i giudici della cassazione che “l’articolo 3 dello statuto del contribuente sull'efficacia temporale, nel senso del divieto della retroattività, delle normative fiscali, si inquadra, del resto, all'interno di un principio più generale di correttezza e buona fede cui devono essere improntati i rapporti tra amministrazione e contribuente, e che trova espressione non solo nell'art. 10 che ha per oggetto la tutela dell'affidamento e della buona fede, ma anche una serie di altre norme dello statuto, vale a dire nell'art. 6 sulla conoscenza e la semplificazione degli atti, nell'art. 7 sulla chiarezza e motivazione degli atti stessi, nell'art. 5 sulle informazioni del contribuente, nell'art. 2 sulla chiarezza e trasparenza delle disposizioni tributarie, ecc”.

Una disposizione fiscale che abbia anche solo in parte efficacia retroattiva è palesemente contraria ai principi di correttezza nei confronti del contribuente, perché l'esame complessivo delle disposizioni dello statuto, ed in particolare quelle sopra riportate, “chiarisce che la correttezza e la buona fede nei confronti del contribuente debbono essere osservate non solo dall'amministrazione finanziaria in fase applicativa, ma anche dallo stesso legislatore tributario all'atto dell'emanazione delle fonti normative, come emerge in particolare dall'art. 2 che detta i criteri di chiarezza e trasparenza che debbono essere osservati nelle disposizioni tributarie, e dallo stesso art. 3 sul divieto di attribuire ad esse efficacia retroattiva”.

 

La redazione di megghy.com

 
   
 
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