CONSIGLIO DI STATO, sez. IV, sentenza 9 agosto 2005 n°4244
R E P U B B L I C A I T A L I A N A
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la seguente
D E C I S I O N E
sul ricorso in appello n. 9948/1998, proposto da:
- C* rappresentato e difeso dall’avv. GR
c o n t r o
- il Ministero dell’Economia e delle Finanze ed il
Comando generale del Corpo della Guardia di Finanza, in persona
dei rispettivi legali rappresentanti in carica,
per l’annullamento
della sentenza del T.a.r. Lazio, Roma, Sezione II, 10 marzo
1998 n. 372, resa inter partes e concernente la rimozione
dal grado di capitano della Guardia di Finanza.
(omissis)
Ritenuto e considerato in fatto ed in diritto quanto segue:
F A T T O
L’attuale appellante, all’epoca dei fatti capitano
della Guardia di Finanza, ricorreva al T.a.r. Lazio impugnando
il provvedimento recante la sua rimozione dal grado, in seguito
alla pena patteggiata di un anno ed otto mesi di reclusione
per tentata concussione aggravata (con la sospensione condizionale),
inflittagli dal Tribunale penale di Roma con sentenza in data
15 novembre 1990.
Egli deduceva la violazione della legge 10 aprile 1954 n.
113 e l’eccesso di potere per travisamento, vizio di
motivazione, difetto istruttorio e violazione dei principii
vigenti in materia disciplinare.
La p.a. intimata si costituiva in giudizio e resisteva al
ricorso, che veniva respinto con sentenza poi impugnata dal
C* mediante censure sostanzialmente analoghe a quelle già
prospettate in prima istanza e sintetizzabili nella violazione
dell’art. 445, c.p.p., nel vizio motivazionale e nell’omesso
autonomo esame della fattispecie in sede disciplinare.
L’Amministrazione appellata si costituiva in giudizio
e resisteva al gravame.
All’esito della pubblica udienza di discussione la
vertenza passava in decisione.
D I R I T T O
L’appello è infondato e va respinto, dovendosi
condividere la pronuncia qui impugnata, correlativamente disattendendosi
le doglianze prospettate dall’appellante.
Infatti, la sentenza patteggiata non spiega effetti extrapenali
ma, equiparandosi ad una sentenza di condanna (cfr. art. 445,
c.p.p.), legittima l’apertura di un’autonoma inchiesta
disciplinare, in relazione ai fatti accertati in sede penale
(tentata concussione aggravata) con connotazioni di gravità
tale (in particolare, per essere stati commessi da un ufficiale
del Corpo della Guardia di Finanza, istituzionalmente deputato
a garantire il rispetto degli obblighi fiscali, nella specie,
ai danni di una società esposta al rischio di un accertamento
tributario) da non consentire alla pubblica amministrazione
di ignorarli, tanto più in presenza di adeguato supporto
probatorio (cfr. documentazione in atti).
Nessuna illegittimità può, dunque ravvisarsi
nel comportamento dell’Amministrazione procedente che,
con autonoma valutazione di quanto emerso in sede penale (dove
si dispone di strumenti d’indagine ben più pregnanti
di quelli altrove riscontrabili), ha ritenuto di aderire alle
relative risultanze così come ivi ricostruite, essendo
implicito che l’adesione ad una sentenza di patteggiamento
implica l’accettazione di tutte le conseguenze del caso,
alle quali ci si può sottrarre solo rinunciandovi e
sottoponendosi al dibattimento.
Si tratta, quindi, di una scelta rimessa all’interessato
che, facendola, ne accetta necessariamente tutte le conseguenze
senza alcuna possibilità di ritrattazione, pena la
certezza dei rapporti giuridici.
Il correlativo procedimento disciplinare si è, poi,
svolto con rigorosa regolarità, dato che il 9 luglio
1991 venivano contestati al C* gli addebiti ad opera dell’ufficiale
inquirente, che ne ritirava ricevuta firmata dall’incolpato
il 10 luglio 1991; il Consiglio di disciplina veniva ritualmente
costituito secondo il dettato degli artt. 79 ed 80, legge
n. 113/1954, con la partecipazione di cinque ufficiali superiori,
tra cui un colonnello quale presidente del collegio; l’intero
carteggio istruttorio e probatorio ha potuto essere visionato
dall’inquisito, ammesso a fornire ogni chiarimento ritenuto
utile; la conclusiva sanzione della rimozione è stata
inflitta con il prescritto decreto ministeriale, ai sensi
dell’art. 2, legge 12 gennaio 1991 n. 13.
Né può ipotizzarsi che la scelta della pena
patteggiata, ai sensi dell’art. 444, c.p.p., possa essere
dovuta all’intuibile desiderio di evitare una possibile
sentenza di condanna vera e propria, facendo affidamento sull’inettitudine
della prima a precostituire un presupposto legittimante l’apertura
di un procedimento disciplinare, essendo impossibile attribuire
al legislatore penale un intento deflattivo pagato a tal prezzo.
Conclusivamente, l’appello dev’essere respinto,
con salvezza dell’impugnata sentenza, mentre le spese
del presente grado di giudizio seguono la soccombenza e si
liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione IV,
respinge l’appello;
condanna C* a rifondere alle Amministrazioni appellate, creditrici
solidali, le spese di costituzione e difesa nel presente grado
di giudizio, liquidate in complessivi duemilacinquecento/00
euro, oltre agli accessori di legge.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità
amministrativa.
Così deciso in Roma, addì 28 giugno 2005, dal
Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione IV, riunito
in camera di consiglio con l’intervento dei signori:
Presidente Lucio VENTURINI
Consigliere Pier Luigi LODI
Consigliere Antonino ANASTASI
Consigliere estensore Aldo SCOLA
Consigliere Bruno MOLLICA
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
Aldo Scola Lucio Venturini
SEGRETARIO
Rosario Giorgio Carnabuci
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
9 agosto 2005
(art. 55, L. 27.4.1982 n. 186)
Il Dirigente
Giuseppe Testa
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