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Infortuni sul lavoro: riparto della colpa ex 626/94 e danno biologico "differenziale"
( Tribunale di Vicenza, sez.Lavoro, sentenza 03.06.2004 n° 82 )

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Su alcune questioni, particolarmente dibattute in materia di infortuni sul lavoro, è intervenuta recentemente una pronuncia del Tribunale di Vicenza (est. giudice del lavoro dott. Luigi Perina) che, per le soluzioni proposte (probabilmente non in linea con l'orientamento prevalente della giurisprudenza), sarà sicuramente oggetto di dibattito e discussione.


sent. n° 82
R.C. LAV. 205/02
CRON 2004
REPUBBLICA ITALIANA

TRIBUNALE DI VICENZA

- sezione lavoro -

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO


Il Giudice del Lavoro Dott. Luigi Perina ha pronunciato la seguente

SENTENZA nella causa iscritta al N. 205/02 Ruolo Lavoro

S. A. con avv. MESSURI

FRATELLI MAZZON PRODOTTI CHIMICI SRL con avv. GEREMIA

OGGETTO: RISARCIMENTO DANNI DA INFORTUNIO SUL LAVORO

Conclusioni del ricorrente

1) Accertarsi e dichiararsi per le causali esposte in narrativa, la responsabilità della società convenuta nella causazione dell'infortunio sul lavoro occorso al ricorrente, e per l'effetto condannarsi -"Fratelli Mazzon Prodotti Chimici s.r.l.", c.f. 00161770243, con sede in Schio (VI), via Vicenza n. 72, in persona del Presidente del Consiglio di amministrazione M. A. o del diverso legale rappresentante pro-tempore al risarcimento di tutti i danni patrimoniali e non patrimoniali (ivi compreso il danno biologico e morale) patiti dai ricorrente (per le voci sopra illustrate) mediante corresponsione della somma di £. 778.571.280 pari a € 402.098,51= o di quella diversa che risulterà di giustizia in corso di causa, oltre agli interessi legali e alla rivalutazione monetaria dal dì del sinistro al saldo effettivo.

2) Spese, diritti e onorari di causa rifusi con distrazione a favore dei difensori antistatari.

Conclusioni del resistente

Respingersi il ricorso presentato da S. A. contro la fratelli Mazzon prodotti chimici srl tendente all'ottenimento di un risarcimento per infortunio occorsogli il 25.8.2000.

Svolgimento del processo.

Con ricorso depositato il 5.4.2002 il ricorrente dipendente della convenuta dal 1997, come operaio livello E1 CCNL chimici esponeva di essere stato vittima di gravissimo infortunio sul lavoro accaduto il 25.8.2000. Così esponeva la dinamica dell'infortunio.

"Il giorno 25/08/2000, il ricorrente era addetto alle operazioni di preparazione di prodotti chimici presso una macchina miscelatrice composta di un albero rotante verticale, alla cui estremità inferiore veniva fissata un'elica da immergere - una volta abbassata - in un recipiente contenente il materiale da miscelare

(cfr. documentazione fotografica del verbale Ispettivo dello Spisal. doc. 3).

Verso le ore 10,30, il ricorrente aveva appena terminato la preparazione di una colla di colore rosso. Dovendo successivamente procedere alla preparazione di un altro prodotto con caratteristiche diverse dal precedente, al ricorrente fu ordinato di effettuare la pulizia del miscelatore e, in particolare, dell'albero rotante dello stesso. Ciò al fine di evitare la contaminazione e l'inquinamento del nuovo composto. L'eliminazione delle incrostazioni più grossolane fu effettuata dal lavoratore dapprima con acetone, poi con un raschietto e infine, per eseguire accuratamente la pulizia, con carta abrasiva. Mentre effettuava tale ultima operazione, con l'albero rotante in movimento e munito di guanti, il ricorrente teneva la carta abrasiva avvolta e premuta all'albero stesso, quando improvvisamente veniva violentemente trascinato e, dopo aver sbattuto con il corpo su altri manufatti circostanti, finiva scaraventato a terra con le mani e gli avambracci staccati e a penzoloni. Una volta soccorso, il lavoratore veniva trasportato dapprima al P.S. dell'ospedale di Schio e successivamente, data la gravissima entità delle lesioni, all'Ospedale di Verona tramite elicottero.

La prima diagnosi evidenziava: "... fratture esposte e sub amputazione bilaterale di avambraccio ... frattura piede e caviglia destra, ferita penetrante cavo ascellare torace sinistro ...." come risulta dalla documentazione sanitaria allegata (docc. sub 4).

Successivamente il lavoratore subiva altri ricoveri e delicati interventi chirurgici (con i quali gli arti venivano "riattaccati") seguiti da lunghe terapie riabilitative (cfr. documentazione sanitaria, cit. sub 4 e perizia medico legale all. sub 5).

Affermava che la dinamica dell'infortunio consentiva di ravvisare la responsabilità datoriale per violazione della obbligazione di cui agli artt. 2087, 2050 e 2051 c.c. e di specifiche norme anti infortunistiche ( artt. 374,68,41, 55 e ss. DPR 547/55 e 35 D.Lgs. 626/94 ) di tal che il danno causato era superiore a quello risarcito in sede Inail sia sotto il profilo del danno biologico "residuale", sia per danno alla capacità lavorativa specifica , per danno morale e per spese documentate. Quantificava in oltre 700 milioni di lire il danno stesso di cui chiedeva il ristoro . Si costituiva la convenuta così prospettando le proprie ragioni.

Affermava che il ricorrente aveva fatto costruire dalla ditta un contenitore in acciaio per immergere, la sera, l'albero miscelatore, come risulta dal verbale Spisal e dalle stesse dichiarazioni dell'infortunato, a conferma della conoscenza della macchina e della pericolosità della stessa.

Attribuiva la responsabilità dell'evento alla gravissima imprudenza del lavoratore. Infatti il lavoratore, come risulta dal rapporto Spisal :

" a motore fermo ha passato l'albero con acetone e poi con un raschietto ha tolto le parti più grossolane. Per eseguire poi una più accurata pulizia ha messo in funzione l'albero verticale, dopo aver tolto l'elica..." Questa, parziale ricostruzione dell'accaduto, mette in evidenza che il S., dapprima, ha agito sull'albero fermo, di poi è andato a metterlo in funzione-Ma, si è detto, quella descritta nel rapporto Spisal, è una ricostruzione parziale e quindi imprecisa, in quanto sono state omesse delle operazioni che il accodato, per pulire l'albero, ha dovuto, per forza di cose, eseguire. Infatti, ultimata la fase di miscelazione del prodotto, bisogna staccare la catenella che ha inserita, all'estremità, una chiavetta per consentire che il bidone, nel quale è stata eseguita la miscelazione, vada tolto. Quindi l'operaio può effettuare l'operazione di pulizia. Il S. allora, che, aveva iniziato a pulire l'albero mentre era fermo, per azionarlo ha dovuto reinserire la chiavetta della catenella e poi, circostanza che neppure è stata menzionata nel rapporto, recarsi presso il quadro elettrico, ove ha avviato la corrente elettrica, prima, a 725 RPM e poi a 1450 RPM. Di tanto sconsiderato comportamento, non può essere responsabile il datore di lavoro, la cui osservanza delle disposizioni di legge, non può essere messa in dubbio, né dal fatto che è stata irrogata, e pagata, una sanzione amministrativa, né dal pendente procedimento penale (che non equivale certamente a sentenza di condanna), né dalle argomentazioni, svolte nel ricorso introduttivo , tendenti a dimostrare un'insufficiente opera di informazione della ditta.

Per quanto riguarda il primo punto, è troppo semplicistico presumere un'ammissione di colpa dal pagamento di una sanzione amministrativa. E' a tutti noto che il più delle volte, quando si ha a che fare con l'Amministrazione Statale, conviene pagare piuttosto che discutere.

Si evitano perdite di tempo. A maggior ragione, detta regola vale per gli imprenditori, in cui ritmi lavorativi non sono certo quelli usati dalla burocrazia. Fatta questa premessa, ribadito che l'indagine dello Spisal è stata approssimativa, vi è da chiedersi se le violazioni eccepite dallo Spisal alla ditta Mazzon hanno avuto un nesso causale con l'evento e se quanto è stato realizzato dalla Mazzo, a seguito delle prescrizioni impartite, possono impedire la serie di comportamenti simili a quelli compiuti dal S. nell'occasione qui in discussione. La risposta non può che essere negativa, specialmente se, girando tra i vari macchinari dell'azienda, si nota che il sistema della catenella è attualmente praticato, con il beneplacito dello Spisal, per diversi altri macchinari, in quanto la famosa catenella non ha la funzione di bloccare l'avviamento dell'albero, né tantomeno di impedire l'avvicinamento dell'operaio all'albero, quando deve pulirlo, come avviene quotidianamente, ma piuttosto di bloccare il bidone, e quindi la corrente elettrica, nel caso il bidone, per effetto dello sbattimento del materiale, si muovesse; in tal modo troverebbe un ostacolo che lo ferma. Quindi, la pulizia dell'albero può avvenire solo mediante il diretto contatto del dipendente sul pezzo. Ovvio che si tratta di un'operazione che deve essere eseguita a motore spento. E una volta che il bidone sottostante l'albero è stato tolto, perché la miscelazione è terminata, l'albero non mette in moto se non vi è qualcuno che lo vuol far partire. Neppure è vero, passando al secondo punto, che la ditta non abbia fornito ai propri dipendenti un'adeguata informazione sui rischi insiti nella attività produttiva. Nella zona timbratura, ove i lavoratori devono recarsi almeno quattro volte il giorno, nell'ambiente adibito a ristoro, sono esposti, ben visibili, cartelli che riportano prescrizioni e divieti, nonché tabelle che prescrivono le norme di prevenzione infortuni. Queste ultime stabiliscono: al n. 1: "Al lavoratore è vietato: pulire, ingrassare, aggiustare, rettificare e registrare gli organi meccanici quando le macchine sono in moto; al n. 2: la rimozione dei dispositivi di sicurezza deve essere fatta esclusivamente a macchine ferme con l'autorizzazione del capo reparto (docc. 1-2).

Inoltre, nella busta paga di febbraio 1998 è stato inserito un volantino riproducente le appena richiamate norme di sicurezza e così, quando se ne avverte la necessità, nelle buste paga vengono allegati opuscoli che riportano le ultime disposizioni in tema di sicurezza. E ancora, ogni due o tre mesi si svolgono corsi di aggiornamento, difetti dall'ing. R. P.. Quindi, è impossibile che il S., sia per le informazioni che aveva ricevuto, sia per l'esperienza che aveva acquisito, non si fosse reso conto della pericolosità di quanto stava facendo".

Negava la debenza di tutti ì danni richiesti, ed in particolare quello alla capacità lavorativa specifica, atteso che il ricorrente aveva ripreso il lavoro dopo l'infortunio con lo stesso stipendio e qualifica.

Depositate le repliche, sentiti i testi, disposta la C.T.U., depositati i conteggi, la causa veniva decisa come da dispositivo.

Motivi della decisione.

1. La dinamica dell'infortunio

II ricorrente il 25.08.2000 era addetto ad una macchina miscelatrice composta da un albero rotante verticale dotato di elica da immergere in un bidone con ruote contenente materiale da miscelare ed effettuata l'operazione di miscelazione di un collante di colore rosso , doveva pulire l'albero rotante eliminandone i depositi e le incrostazioni per effettuare una successiva miscelazione di colorante , onde evitare la contaminazione e l'inquinamento del nuovo composto. Pertanto svolgeva questa operazione dapprima utilizzando, a motore fermo, un acido (acetone) e poi un raschietto ed infine la carta abrasiva, a motore in movimento. Mentre svolgeva l'ultima fase di questa operazione, tenendo premuta la carta abrasiva sull'albero motore rotante in movimento, veniva trascinato dall'albero e scaraventato a terra con lesione e distacco di entrambi gli avambracci e delle mani. Nell'eseguire questa attività egli dapprima toglieva l'elica dell'albero e procedeva alla pulizia manuale con albero rotante fermo; successivamente avviava l'albero rotante azionando il pulsante di alimentazione elettrico alla velocità massima - teste Dal Dosso -. Per avviare l'albero rotante egli aveva staccato dal supporto la catena con chiavetta che serviva per tenere legato e fermo il bidone con ruote, (allo scopo di evitare che l'agitazione del materiale da miscelare spostasse il bidone stesso), estraendo dal bidone l'albero rotante , e poi aveva reinserito la catena con chiavetta nel supporto per consentire in tal modo l'avviamento de motore, e ha premuto il tasto del quadro elettrico che comandava l'avviamento del motore, posizionandolo alla velocità massima, ponendo in essere dunque tutte le operazioni che consentivano l'avvio della macchina.

A questo punto il lavoratore si è avvicinato all'albero motore in movimento e, indossando guanti, ha preso una carta abrasiva e l'ha premuta contro l'albero rotante per effettuare l'accurata pulizia dell'albero, ed i suoi avambracci venivano colpiti dall'albero che velocemente ruotava su se stesso, staccandoli. Ciò è confermato dalle dichiarazioni stesse del ricorrente e dal verbale Spisal (doc. 3 attoreo).

E' pure confermato dal ricorrente e documentato in atti che in azienda e nei pressi del miscelatore vi erano cartelli e tabelle che vietavano la pulizia dell'albero motore con albero in movimento, cosi come per ogni altra macchina in moto (foto 5B conv., che riproduce i cartelli , la esposizione dei quali è confermata dai testi). E' pure confermato dal ricorrente che egli stesso aveva predisposto un tubo -contenitore allo scopo di inserirvi nello stesso l'albero motore per il lavaggio dopo l'uso; tubo contenitore che era riempito di acido ed altro che consentisse lo scioglimento delle incrostazioni depositate sull'albero motore. Il tubo è riprodotto nella foto n° 6 conv.

Il sistema di sicurezza antinfortunistica disposto dall'azienda era costituito dall'inserimento nel muro della chiave del microinterruttore collegata ad una catena (disarcionata dal muro): l'albero rotante veniva messo in funzione azionandolo con i pulsanti (a due velocità) posti nel quadro comandi e la chiave permetteva, se inserita, di far funzionare l'albero motore (vedi verbale Sisal pag. 6. e foto n° 7 convenuta).

2. La conformità del dispositivo di sicurezza alle norme di legge.

Afferma lo Spisal che tale meccanismo non è adatto a svolgere la funzione protettiva degli infortuni "in quanto facilmente neutralizzabile", non in buono stato di conservazione , essendo la catena disancorata dal muro. Dopo l'infortunio l'azienda ha segregato la macchina con un riparo mobile e inserendo un sensore di presenza vasca che garantisce la rotazione dell'albero miscelatore in con condizioni di sicurezza.

Venivano elevate le contravvenzioni agli artt. 374 DPR 547/55 e 35 co. 1" - 4° lett. b) D.Lgs. 626/94. La prima norma non rileva ai fini di causa essendo inlnfluente nella dinamica dell'incidente. La seconda rileva in quanto si contesta all'azienda di non aver predisposto misure affinchè la attrezzatura - agitatore - venga usata in modo corretto essendo quelle predisposte (micro - interruttore a chiavetta collegato a catena che dovrebbe circoscrivere il bidone) , facilmente neutralizzabili dall'operatore. Lo Spisal imponeva l'installazione di un sistema di sicurezza che impedisse la rotazione dell'albero se non dal momento in cui è presente una protezione contro il contratto con le parti in rotazione.

3. La responsabilità dell'infortunio di cui è causa.

Dalle deduzioni sopra riferite risulta che il ricorrente, che ha partecipato a corsi di formazione antinfortunìstica dal 1997 al febbraio 1999 (come risulta dai documenti vari dep. udienza 4.6.2003; e dal teste G. M.) e che ha predisposto mezzi e metodi per la pulizia dell'albero rotante (tubo - contenitore) nell'occasione dell'infortunio, anziché utilizzare questo metodo, anziché operare a motore fermo (come prescritto dai cartelli esposti in azienda e verosimilmente indicato nei corsi formativi), ha dapprima operato correttamente effettuando le operazioni di pulizia con albero motore fermo, e successivamente, avendo poco tempo a disposizione, e non avendo raggiunto il risultato voluto, accendeva la macchina alla velocità massima (il comando della velocità era a circa 3 mt. dall'albero motore) e con le mani ed i guanti puliva con la carta l'albero in movimento premendo la carta stessa sull'albero motore. Il convenuto considera questa attività così abnorme, inopinabile, eccezionale ed incompatibile con il processo protettivo e dunque tale da interrompere qualsiasi nesso causale tra la condotta (omissiva) datoriale e l'evento. L'assunto non può essere condiviso. L'esonero da responsabilità datoriale ex art. 2087 c.c. sussiste solo se l'evento dannoso è stato causato da caso fortuito, ossia rappresenta un evento imprevisto, imprevedibile, esorbitante i normali eventi fenomenici, e cioè se l'evento è atipico eccezionale e abnorme, e tale da far ritenere impensabile che il lavoratore avrebbe potuto agire così come ha agito. Se al contrario l'evento non ha queste caratteristiche ( ed anche ammettendo il possibile concorso di colpa del lavoratore) quest'ultimo fatto non ha una valenza esimente dalla responsabilità datoriale, come affermato da Cass. N.3213 del 2004. Nel caso di specie l'evento è stato determinato sotto il profilo causale

A) dall'aver predisposto un sistema antinfortunistico facilmente eludibile (violazione dell'art. 35 commi 1 - 4 lett. b) D.Lgs. 626/94 come evidenziato dallo Spisal);

B) dall'aver tollerato l'azienda che l'operatore avesse eseguito in altre occasioni la stessa operazione con albero motore in movimento, come dichiarato dal dipendente S. - caporeparto - sentito dagli ispettori ("mi è capitato qualche mese prima dell'infortunio di vedere il ricorrente fare la pulizia dell'albero con la carta trattenuta con le mani sull'albero in movimento; gli ho detto di non farlo perché in considerazione della potenza dei motori, rischiava di rompersi i polsi") ed ammesso dallo stesso ricorrente il quale per non fare quella operazione pericolosa, posta in essere in passato, aveva lui stesso costruito il "tubo -contenitore" di cui sopra; si è verificata in tal modo una situazione di "culpa in vigilando", essendo obbligo del datore di vietare al lavoratore di compiere attività pericolose e dovere di esigere dallo stesso il rispetto del divieto, sanzionandone la condotta in caso contrario, e non certo tollerando questa situazione di estremo pericolo;

C) dall'aver svolto un'attività di informazione e di formazione concreta con partecipazione ad incontri in cui tuttavia non è emerso in termini di assoluta certezza la trattazione degli specifici presidi antinfortunistici del caso .

Tenuto conto di ciò non può ritenersi che l'evento sia occorso per caso fortuito o forza maggiore, e dunque va esclusa l'interruzione del nesso causale tra i profili colposi - omissivi sopra evidenziati e l'evento.

4. La rilevanza della condotta del lavoratore

Se la responsabilità datoriale va affermata per le ragioni sopra evidenziate, tuttavia non può trascurarsi il disposto dell'art. 1227 c.c. e dunque non può essere ritenuta irrilevante e trascurabile la condotta del danneggiato. L'art. 5 co. 2° lett. a), b), d), f) D.Lgs. 626/94 da estremo rilievo alla condotta del lavoratore, responsabile nella esecuzione del lavoro.

La citata norma, ancorché non applicabile direttamente al caso di specie -essendo relativa alla materia penale - , rappresenta tuttavia un elemento argomentativo importante ai fini di ritenere applicabile al caso di specie l'art. 1227 c.c. e dunque la configurabilità del concorso di colpa. Il D.Lgs. 626/94 è riconosciuto come fonte normativa che muta, nel settore della prevenzione infortuni il ruolo del lavoratore, il quale non è più un mero soggetto passivo del sistema di sicurezza, e diviene ,con precisi limiti, un soggetto attivo, partecipando alla programmazione ed alla concreta gestione delle misure di sicurezza e preventive.

L'art. 5 afferma che ciascun lavoratore deve prendersi cura della propria sicurezza. Questo dovere tuttavia è strettamente connesso alla formazione ed alla informazione, e dunque si può pretendere dal lavoratore che si comporti in modo prudente ed efficace per evitare infortuni, sempre che egli sia stato adeguatamente formato.

E dunque da un lato il legislatore ha imposto con fermezza l'obbligo datoriale di informazione e formazione continua e permanente del lavoratore, (rispetto al precedente obbligo ex DPR 547/55 limitato alla informazione sui rischi della lavorazione, sulle misure di sicurezza in uso ed i dispositivi di prevenzione in dotazione) tendente a fare acquisire l'indispensabile livello di esperienza e conoscenza che possa rendere il dipendente in concreto un soggetto attivo della prevenzione (artt. 21 e 22 D.Lgs, cit).

Dall'altro con l'art. 5 cit. impone precisi obblighi al lavoratore (quale ad esempio non compiere manovre od operazioni che esulano dalla propria competenza e che possano compromettere la propria sicurezza) e configura il ruolo del lavoratore come persona che da soggetto passivo della sicurezza transita al ruolo di soggetto attivo.

Questo mutamento di prospettiva non può non comportare anche in giurisprudenza un mutamento nella valutazione della responsabilità datoriale a fronte di una adeguata informazione e formazione , ed a fronte di una condotta colposa del lavoratore posta in essere in violazione dei più elementari obblighi di sicurezza. Ed invero se questo mutamento di prospettiva non venisse recepito dalla giurisprudenza, verrebbe sicuramente svalutato l'elemento fondante della riforma in materia, disincentivando comunque la predisposizione di strumenti formativi, che diverrebbero sostanzialmente poco significativi e non determinanti ai fini di escludere (o quanto meno di attenuare) la responsabilità datoriale. Scarso o quasi nullo sarebbe infatti l'interesse datoriale alla formazione, se ciò non fosse significativo anche ai fini della esenzione ovvero della parziale riduzione degli effetti dannosi sulla integrità fisica del lavoratore, divenendo di per sé irrilevante aver effettuato o meno la formazione ai fini della dichiarazione di responsabilità in materia di infortuni, a fronte della certezza della declaratoria di responsabilità anche allorquando la formazione sia stata concretamente effettuata.

Ne consegue che qualora sia stato correttamente assolto l'obbligo formativo -come nel caso specifico in esame - finisce per ridursi lo spazio di responsabilità del datore (ad esempio, certe condotte imprudenti del lavoratore adeguatamente formato possono divenire da prevedibili a imprevedibili; il dovere di vigilanza datoriale viene allentato e deve essere diversamente valutato nei confronti del lavoratore che è stato concretamente formato).

Se questa è la ratio del D.Lgs.626/94, appare allora rilevante la condotta colposa del lavoratore, e risulta non conforme ai principi sottesi alla materia di prevenzione infortuni escludere, sotto il profilo del risarcimento danni la previsione dell'art. 1227 c.c.

Non sembra pertanto condivisibile quella giurisprudenza ( Cass. 3213/2004 cit.) che esclude l'applicazione della predetta norma alla fattispecie di cui all'art. 2087 c.c.

Passando al caso concreto, e tenuto conto dell'assolvimento dell'obbligo datoriale formativo ed informativo, appare qualificabile come condotta imprudente ed imperita quella del ricorrente di aver dato corso alle operazioni di pulizia dell'albero motore mettendolo volontariamente in moto alla velocità più elevata tra le due selezionabili ( ed inserendo la chiavetta collegata alla catena di trattenuta del bidone - contenitore) a appoggiando le mani sull'albero motore in movimento per pulirlo con la carta.

Condotta in palese violazione dei divieti indicati nei cartelli affissi in azienda, e delle comuni e generali norme prudenziali note anche al lavoratore esperto nella attività in esame, e che aveva predisposto personalmente un altro sistema di pulizia dell'albero motore (costruzione di un tubo - contenitore contenuto acido per lo scioglimento delle incrostazioni, e nel quale inserire l'albero motore per la pulizia per distacco e scioglimento dei residui di lavorazione che si erano ivi depositati). La condotta colposa del lavoratore sostanziata nel decidere e nell'eseguire la manovra palesemente pericolosa incide nel determinismo causale dell'infortunio in concorso con la condotta colposa datoriale , ed ha contribuito in modo molto rilevante nella realizzazione dell'evento . Colpa del lavoratore che appare quantificabile in modo prevalentemente rispetto ai profili colposi datoriali.

Stimasi equo ripartire in 2/3 la colpa del lavoratore ed in 1/3 quella datoriale.

5. I danni risarcibili

L'infortunio è occorso il 25.08.2000, data in cui era in vigore il D. Lgs. 38/00 , il cui art. 13 , dopo aver definito in via sperimentale il danno biologico , prevede un criterio di indennizzo del danno biologico stesso in misura indipendente dalla capacità dì produrre reddito del danneggiato.

E' molto controverso in dottrina e giurisprudenza se tale indennizzo comprenda l'intero risarcimento del danno biologico, esonerando il datore di lavoro da qualsiasi obbligazione risarcitoria, ovvero se sussista comunque un danno "differenziale" rispetto a quello coperto dall'indennizzo INAIL e che deve essere risarcito dal datore di lavoro.

La prevalente dottrina e giurisprudenza opta per questo secondo orientamento interpretativo argomentando dal dato letterale dell'art. 13 che qualifica l'emolumento a carico INAIL come "indennizzo", concetto notoriamente diverso dal risarcimento, di tal che esso non copre tutte le voci di danno scaturite eventualmente dall'evento, ma assolve ad una funzione sociale ed è finalizzato a garantire mezzi adeguati alle esigenze di vita del lavoratore non solo strettamente economico - monetarie, mentre il risarcimento in senso tecnico ha lo scopo di risarcire il danno nell'esatta misura in cui si è verificato (così letteralmente TRIB CAGLIARI 20.2.03 n° 961).

Consta anche altro orientamento contrario secondo cui il D. Lgs. 38/00 risponde alla necessità di realizzare una garanzia differenziata (nonché certa, tempestiva e automatica) per la menomazione della integrità psico-fisica del lavoratore, e riconduce il danno biologico alla copertura assicurativa obbligatoria (così TRIB. TO 10.6.03 N° 3393 che cita pure Cass. 20.1.02 n° 1114).

E ciò in conformità con i principi espressi dalla Corte Costituzionale 18.4.96 n° 118 che ha tratteggiato le differenze tra risarcimento, indennizzo e misure assistenziali, affermando che la menomazione della salute può portare, a seconda del sistema in cui si inserisce, ad un risarcimento "pieno" ex art. 2043 cc, ad un equo indennizzo (es. L.210/92) direttamente collegato all'art. 32 Cost. o a misure di sostegno assistenziale ex art. 2 e 38 Cost. "disposte dal legislatore nell'ambito dell'esercizio costituzionalmente legittimo dei suoi poteri discrezionali".

Mentre l'art. 2043 cc rimette al giudizio di equità del giudice la valutazione del danno, l'indennizzo e le misure assistenziali si collegano ad esigenze che discendono direttamente dagli artt. 32 e 38 Cost., e sono conformi ai predetti principi costituzionali (C. Cost. cit).

Il sistema normativo delineato , che prevede tutele differenziate , è dunque conforme ai principi costituzionali e non contrasta con l'art. 32 Cost. . Perciò non può riproporsi in materia di danno biologico la questione del danno "differenziale" - eccedente l'indennizzo INAIL - atteso che sussistono notevoli difficoltà a sostenere l'applicazione analogica dell'art. 10 del previgente T.U.

La predetta opinione giurisprudenziale trova conferma nel confronto tra il D. Lgs. 38/00 e l'art. 5, 4° co. L.57/01 (in materia di danno biologico derivante da sinistri conseguenti la circolazione dei veicoli a motore) atteso che quest'ultima norma prevede espressamente , oltre ad una quantificazione standard - uguale per tutti - del danno biologico , la possibilità di ottenere giudizialmente un "risarcimento ulteriore" sotto il profilo della personalizzazione e individualizzazione del danno stesso, a differenza dell'art. 13 D. Lgs. 38/00 che non lo prevede .

Pertanto tale giurisprudenza perviene alla conclusione che con il pagamento dell'indennizzo INAIL nulla è più dovuto a titolo di ristoro del danno biologico.

Questo giudicante condivide l'impostazione di fondo di questa giurisprudenza, con alcuna precisazioni di seguito evidenziate.

Tenuto conto della origine del danno biologico e del diritto al risarcimento, di creazione giurisprudenziale, così come la quantificazione mediante il sistema del punto tabellare, appare condivisibile il principio secondo il quale allorquando il legislatore disponga di disciplinare precisamente l'istituto di creazione giurisprudenziale è al dato normativo che si deve fare riferimento, salva la chiara incompatibilità della norma positiva con i principi costituzionali e con quelli generali della materia così come elaborati dalla giurisprudenza.

Il legislatore ha dato una definizione di danno biologico conforme ai principi generali, ha addossato all'INAIL la erogazione di un "quid" in favore del danneggiato, esonerando dal pagamento diretto il datore di lavoro che ha assicurato con l'INAIL tale rischio. Come sopra evidenziato questa tutela differenziata del danno biologico è compatibile con i principi costituzionali.

Il legislatore nella sua ampia e insindacabile discrezionalità ha quantificato questo "quid" secondo precise tabelle.

Appare allora anacronistico ritenere che, a fronte di queste novità legislative di recepimento delle pluriennali evoluzioni giurisprudenziali in materia,nulla sia mutato e tutto sia rimasto come prima.

Va escluso , ad avviso del giudicante che il danno da risarcire sia quello, sotto il profilo quantitativo, risultante dalle vecchie tabelle create dalla giurisprudenza in assenza di qualsiasi norma positiva in materia.

Questa operazione, sottesa alla qualificazione di un danno biologico come "differenziale" o residuale rispetto a quello INAIL , non appare corretta, e tende sostanzialmente ad ottenere un duplice risarcimento dello stesso danno biologico: quello voluto dalla legge (erogato dall'INAIL secondo precise quantificazioni legali) e quello di quantificazione giurisprudenziale (secondo le famose tabelle dei vari Tribunali).

Non appare allora condivisibile la allegazione sottesa al ricorso secondo cui il danno da risarcire richiesto al datore derivi dalla mera comparazione meccanicistica tra gli importi previsti per legge (tabelle INAIL) e quelli risultanti dalle vecchie tabelle.

Tenuto conto di queste argomentazioni, appare in linea di principio condivisibile l'orientamento espresso da Trib. TO 10.6.03 n° 3393, secondo cui, con riferimento al titolo astratto della pretesa risarcitoria, la quantificazione in sede INAIL non consente alcuna automatica ulteriore pretesa risarcitoria per lo stesso titolo a carico del datore di lavoro fondata sul valore differenziato della quantificazione de! danno effettuata in sede civilistica.

Tuttavia questo giudicante ritiene di dover puntualizzare una ulteriore questione rispetto a quelle trattate dalla citata giurisprudenza .

L'espansione al danno biologico della tutela previdenziale INAIL da cui consegue la riduzione ( ovvero il totale assorbimento ) del diritto al risarcimento del danno sulla base dei criteri civilistici, tuttavia non sembra consentire di escludere sempre e comunque la possibilità di allegare e provare la esistenza in concreto di componenti del danno non coperte e non previste dal sistema dell'indennizzo e della rendita INAIL, che necessitano di una valutazione personalizzata e concreta del valore punto, sulla base di precise condizioni soggettive di cui il giudice dovrà tener conto.

Non appare risolutiva per negare la fondatezza di questa affermazione l'argomentazione spesa dal Trib.TO (citato) circa la inesistenza nel D. Lgs. 38/00 di una analoga previsione rispetto a quella dell'art 5 co 4° L. 57/01 (possibilità di un risarcimento ulteriore e personalizzato del danno rispetto a quello standard e tabellare della legge citata) in quanto questa precisazione normativa esplicitata puramente e semplicemente dall'art. 5 appare comunque ricavabile per via interpretativa e sistematica dai principi generali in materia, e dunque è applicabile in caso di risarcimento danni alia persona derivati da infortunio sul lavoro.

La interpretazione letterale delle norme proposta nella sentenza citata infatti esclude la sussistenza del principio del favor lavoratoris, ed anzi il lavoratore verrebbe ad ottenere un ristoro inferiore a quello del cittadino che subisse lo stesso danno in ambito extra-lavorativo, con vantaggio evidente per il danneggiante.

Se ciò si può giustificare , entro certi limiti , con riferimento al fatto che l'indennizzo-rendita INAIL ha natura automatica, senza necessità di assolvimento da parte del danneggiato di particolari oneri probatori (garanzia certa, tempestiva e automatica del ristoro, che può giustificare la diversa qualificazione del danno rispetto ai criteri civilistici ordinari, relativamente ai quali non sussistono tutte le accennate agevolazioni) questa situazione sembra difficilmente giustificabile con riferimento a ipotesi riferite al singolo caso e dunque concrete in cui le prestazioni INAIL non coprono l'intero danno risarcibile.

L'esempio scolastico da manuale riguarda il caso del violinista che a causa di lavoro perda l'uso della mano, subendo in tal modo un danno biologico che nel caso singolo ha una sua peculiarità personalizzata.

In questo caso va escluso che nella quantificazione del danno INAIL si sia tenuto conto di questa particolarità, e perciò questo tipo di danno personalizzato va risarcito dal danneggiante.

Anche nel caso di specie sottoposto all'esame del giudicante viene allegato e non contestato da controparte che il lavoratore prima dell'infortunio agli arti superiori praticasse costantemente il nuoto, e viaggiasse con il proprio camper, attività non più possibili dopo l'infortunio di causa.

Allegazioni supportate anche dall'anamnesi e dai dati evidenziati dal CTU laddove viene evidenziato un deficit funzionale e una riduzione della forza degli arti superiori.

Ritiene il giudicante che questi elementi costituiscano un "quid pluris" personalizzato in materia di danno alla persona, di cui il legislatore non possa aver tenuto conto nella quantificazione del valore punto previsto dalle tabelle INAIL (D. Lgs. 38/00), e questa componente di danno va risarcita direttamente dal danneggiante.

6. La quantificazione dei danni

L'operazione di quantificazione del danno biologico con riferimento alla specificità del caso deve tener conto dei normali criteri equitativi adottati in sede civilistica, in quanto questi criteri appaiono i più adeguati tra quelli possibili per la determinazione del danno " ulteriore " rispetto a quello considerato in sede Inail.

Tali valori sono da comparare con la rendita Inail dovuta per il risarcimento del danno biologico " generale" e dovuto per lo stesso titolo .

Il danno va quantificato dunque equitativamente, secondo le tabelle del Triveneto .

Tenuto conto della fascia di età del ricorrente, nato il 7.12.41 e di quella relativa alla percentuale di invalidità , il valore del punto e' pari a euro 3.234,45 che moltiplicato per la percentuale riscontrata dal CTU ( 60%) comporta un complessivo danno biologico pari a euro 194.067,00.

L'invalidità temporanea totale viene quantificata in euro 33,40 giornaliere e quella parziale in misura ridotta in base a quanto indicato dal ctu.

Spettano a tale titolo complessivamente euro 6.543,06 ( in ragione di 60gg. di temporanea totale , di 70gg. di temporanea al 75% di 100gg. al 60% e di 78 al 30% )

Complessivamente ii danno biologico ammonta a euro 200.610,06.

La rendita Inail in valore capitale è pari a euro 220.114,14; dal prospetto Inaii risultano ratei di rendita già erogata per lire 19.179.000 e la rendita sopraddetta è distinta in due "voci" pari a euro 105.562,30 per " biologico" e euro 114.551,84 per" patrimoniale".

Anche tenendo conto di questa sotto distinzione la rendita per biologico ammonta a euro 115.000,00 circa .

Tenuto conto del concorso di colpa prevalente del lavoratore ( 2/3) la quota di danno biologico da permanente spettante civilisticamente è pari a euro 64.689,00 , ossia di importo inferiore a quello erogato a tale titolo dall'Inail.

Ne consegue che nulla spetta a tale titolo al lavoratore, essendo i! danno assorbito dalle erogazioni dell'ente previdenziale.

Spetta al ricorrente invece il risarcimento del danno da temporanea (in ragione di 1/3 dell'importo sopra indicato , atteso il concorso di colpa) liquidato in euro 2.181,01.

Compete la lavoratore il danno morale ,non compreso nella complessiva rendita INAIL. La quantificazione viene stimata in misura pari al 50 % dell'intera liquidazione del biologico , temporaneo e permanente , spettante al ricorrente . L'importo teoricamente dovuto è di euro 100.305,03 ed in ragione del concorso di colpa l'importo spettante a tale titolo è di euro 33.435,01.

Trattandosi di importi calcolati in conto capitale secondo le tabelle del 2000 , essi vanno rivalutati sino alla data della sentenza.

Sul capitale rivalutato vanno calcolati gli interessi legali fino al saldo, devalutandolo di anno in anno , secondo gli stessi indici Istat utilizzati per la rivalutazione , dalla data della liquidazione a quella del sinistro.

Spettano pure le spese vive ritenute congrue dal ctu , sempre nella misura di un terzo di quelle sostenute e dunque competono euro 2.727,50 ( il loro ammontare complessivo è infatti di euro 8.182,50 come da note attoree depositate il 22.9.03). Somma gravata di interessi di legge . Quanto ai danni patrimoniali da specifica risulta che il ricorrente ha ripreso a lavorare presso la convenuta con lo stesso compenso che percepiva anteriormente all'infortunio e con stessa qualifica , seppur addetto a mansioni diverse , più leggere , di commesso ; il fatto che dall'aprile 2002 il dipendente abbia scelto il part-time , di comune accordo tra le parti , come riferito nell'interrogatorio libero, non consente di ritenere che tale scelta lavorativa, che comporta riduzione di reddito , sia conseguenza diretta ed immediata dell'infortunio di tal che mancano i presupposti di legge per ritenere risarcibile da parte datoriale questo supposto danno .

Quanto alle spese di lite vanno compensate per metà attesa la parziale fondatezza della domanda e la complessità e novità delle questioni trattate e per il residuo poste a carico della convenuta soccombente .

Il G.L. cosi' provvede:

1) ogni altra domanda ed eccezione rigettata accerta la responsabilità della convenuta in ordine all'infortunio di cui è causa attribuendo il concorso di colpa al ricorrente nella misura di 2/3;

2) condanna la convenuta al risarcimento del danno biologico e morale liquidandolo in complessivi € 35.616,03 di cui:

a) € 2.181,02 a titolo di danno biologico da temporanea;

b) € 33.435,01 a titolo di danno morale;

3) condanna la convenuta al pagamento degli interessi legali fino al saldo calcolati sul capitale via via devalutato dalla data della liquidazione a quella del sinistro;

4) condanna la convenuta al pagamento delle spese vive pari a € 2.727,30 oltre interessi legali dalla debenza al saldo;

5) dichiara compensate per 1/2 le spese di lite e pone il residuo a carico della convenuta liquidandolo in complessivi € 2.000,00) oltre Iva e Cpa come per legge, con distrazione in favore de! proc. attoreo e pone definitivamente a carico del convenuto le spese della C.T.U.

Vicenza, 12.03.2004
Il Giudice del Lavoro

Dott. Luigi Perina
Sentenza depositata in cancelleria il 3 giugno 2004

 

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