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IL TIRANNO "BUONO"

 Articolo di Giovanni Falcone, 11 gennaio 2007

Sto seguendo con particolare interesse l’intenso dibattito insorto sulla “pena capitale”, tornato d’attualità in conseguenza dell'uccisione del tiranno iracheno.

L’esecuzione, giunta al termine di un processo durato qualche anno, ha suscitato profondo dissenso e inusitate se non scomposte proteste diplomatiche contro i vertici del Governo dell’Irak, tanto da suggerire al nostro Paese l’opportunità di una proposta di moratoria alle Nazioni Unite, per una definitiva condanna della pena di morte, ancora vigente, peraltro, in tanti Paesi.

L’iniziativa, per quanto velleitaria ed almeno in apparenza, sembra LODEVOLE. Affermare e bandire in un consesso internazionale l’assoluta contrarietà all’omicidio di Stato, sia pure al termine di un regolare processo, potrebbe essere condivisibile ed auspicabile.

Se invece andiamo oltre alle apparenze, ci accorgiamo che l’iniziativa, per tante ragioni, è IPOCRITA.

Di tali ragioni, cercherò di enunciarne alcune:
. la Legge, qualunque Legge, deve riflettere il sentire comune, fatto di sentimenti diffusi, di emozioni di massa e soprattutto del suo contesto storico;
. un dittatore, un despota, che per anni sopprime – anche fisicamente – un intero popolo, sovente nel disinteresse di quella stessa Comunità Internazionale che ora vuole ergersi ad esempio di umanità, provocando immani tragedie collettive (che poi la Storia li annoterà come genocidi), deve sapere che ancora prima del giudizio divino, sarà sottoposto al giudizio terreno e che la eventuale condanna, sarà proporzionata alla gravità dei crimini commessi;
. l’emozione di una condanna a morte è necessariamente variegata e inversamente proporzionale alla malvagità e vessazioni direttamente sofferte a causa di quella dittatura.

Se resto contrario ad ogni forma di giustizia sommaria, in qualche caso praticata per appartenenza ideologica, come la nostra Storia più recente ci ricorda, faccio particolarmente fatica a comprendere i lunghi digiuni di qualche nostro anziano parlamentare che, forse senza volerlo, induce a confondere la vendetta dalla Giustizia.
Essere inflessibili nel rispetto di quel sentire comune e delle tantissime vittime dimenticate, senza volto, è un modo anche questo per gridare al mondo che i crimini contro l’umanità non si prescrivono, gli autori di tali eccidi, sono stati e saranno perseguiti ovunque e con ogni mezzo. La storia, soprattutto una certa storia, non si cancella, non si dimentica; gli assassini di ogni tempo, ogni epoca, non dovranno mai sentirsi al sicuro, sia pure con la complicità consapevole di alcuni Stati che, ahimé, ancora esistono, sedendo anche impunemente ai congressi internazionali fra i c.d. Paesi civili.
Anche una condanna a morte potrà definirsi Giustizia, giammai da interpretarsi come una vendetta.
D’altro canto, come avremmo definito il sentimento di tanta gente che, in presenza di una condanna per una detenzione a vita, in alternativa alla eseguita impiccagione, avrebbe continuato a vivere con l’incubo di rivedere, sia pure in una ipotesi remota, il dittatore tornare al potere.

E’ troppo facile giudicare eccessiva e fuori dal nostro tempo l’esecuzione di una condanna a morte.
Essere buoni e generosi sulla pelle degli altri, senza vivere o immedesimarsi nel contesto, laddove non si patiscono gli effetti devastanti che una dittatura trentennale comporta, non consente di comprendere appieno il messaggio positivo che può derivare anche da una impiccagione.

Bari, 11 gennaio 2007

Giovanni Falcone Scritto da Admin il 11 Gennaio 2007 alle 08:00

 
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