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Responsabilità del Notaio e requisito della buona fede nell’usucapione decennale

Cassazione , sez. II civile, sentenza 20.07.2005

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE II CIVILE

SENTENZA 20/07/2005 n. 15252


Svolgimento del processo

Con atto notificato in data 4/11/93 Giovanni D. citò al giudizio del Tribunale di Frosinone i coniugi Raffaele C. ed Anna Maria A., al fine di sentir dichiarare 1'inopponibilità nei propri confronti dell'atto di compravendita per Notar S. in Ceccano del 22/6/77, registrato il successivo 11/7, ad oggetto di immobile e relative pertinenze site in Filettino, nella parte in cui i convenuti si erano resi acqui renti, da tale Domenica G. anche di un "box-garage" di mq 22, bene quest'ultimo di cui essi attori rivendicavano la proprietà, in forza di sentenza del Tribunale medesimo n. 363/78, successivamente confermata, nel 1980, dalla Corte d'Appello di Roma; tale sentenza precisava 1'attore, aveva dichiarato che la scrittura privata in data 30/8/1975 stipulata tra lui e la G., ad oggetto, tra 1'altro, del suddetto "box- garage", aveva natura di contratto definitivo di compravendita e che il bene, come aveva appreso all'atto di porre in esecuzione il giudicato, era stato di fatto accorpato dall'alienante ad altro appartamento e venduto ai convenuti.

Costituitisi questi ultimi, eccepivano 1'usucapione decennale ex art. 1159 C.C. Con sentenza del 4/1/99, all'esito di istruttoria documentale, il Tribunale respingeva la domanda, in accoglimento dell'eccezione riconvenzionale suddetta con compensazione delle spese.

Proposto appello dall'attore, resistito dai convenuti con sentenza del 24/1-12/2/92, la Corte d'Appello di Roma accoglieva il gravame e, per l'effetto, dichiarava l'inefficacia della compravendita gia citata, relativamente al "box-garage" in contestazione, nei confronti dell'attore, per essere il medesimo di proprietà di quest'ultimo, e condannava i convenuti al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio.

Tale decisione si basa sull'essenziale considerazione che la "buona fede", che ai sensi dell'art. 1159 cod. civ. deve connotare il possesso utile all'acquisto per usucapione di beni immobili in forza di titolo astrattamente idoneo a trasferire la proprietà, doveva ritenersi nella specie esclusa dalla circostanza che la domanda del D. proposta nei confronti della G. al fine di sentirsi dichiarare proprietario, tra 1'altro, di quel bene, risultava debitamente trascritta nei registri immobiliari fin dal 23/12/1976. Di tale trascrizione i coniugi C.-A. ben avrebbero potuto acquisire conoscenza, «personalmente o per il tramite del notaio rogante 1'atto mediante visura e verifica catastale e ipotecaria», prima di rendersene, a loro volta, acquirenti; pertanto il mancato «adempimento a tutti gli oneri derivati dal principio della normale diligenza e della buona fede in particolare» impediva che 1'acquisito possesso potesse valere al fini dell'usucapione abbreviata.

Avverso tale sentenza il C. e la A. hanno proposto ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo, articolato su due censure.

Resiste con controricorso il D..

Motivi della decisione

Nei due profili di censura, strettamente connessi, si deduce la violazione e falsa applicazione dell'art. 1159 cod. civ. e quella dell'art. 47 co. 3 della L. 16/2/13 n. 89, sull’Ordinamento del Notariato, nonché dell'art. 67 del relativo regolamento, R.D. 10/9/14 n. 1326.

Le doglianze, corredate da massime della corrente giurisprudenza in materia dl possesso utile all'usucapione, partendo dalle premesse di fatto – pervero incontestate - che la materiale disponibilità dell'immobile acquistato era stata pacificamente esercitata, con il carico dei relativi oneri anche fiscali, per oltre sedici anni, senza che prima, all'atto e dopo l’acquisto, alcuno avesse mai esternato o comunicato alcuna contestazione al riguardo, possono compendiarsi nell'assunto che la buona fede, che deve qualificare il possesso agli effetti dell'art. 1159 c.c, non possa essere esclusa dalla circostanza della precedente avvenuta trascrizione della domanda giudiziale ad oggetto del bene, tenuto conto che la relativa ignoranza sarebbe stata determinata dal comportamento malizioso della tenditrice e dalla negligenza professionale del notaio rogante, ordinariamente tenuto a compiere le c.d. "visure ipo-catastali", a meno di espressa dispensa delle parti, nella specie non intervenuta.

Così delineati i termini della vicenda, caratterizzata da due trasferimenti successivi, da parte della stessa, alienanti un medesimo bene immobile, il primo dei quali con scrittura privata non registrata né trascritta, ma seguita da trascrizione della relativa domanda giudiziale e da successiva sentenza dichiarativa dell'avvenuta alienazione, ed il secondo e forza di atto pubblico, trascritto successivamente alla trascrizione del-

1'anzidetta domanda, ma seguito da immissione in possesso dell'acquirente, poi protrattasi per oltre un decennio, considerato altresì che la sentenza dichiarativa della proprietà del D., in forza della priorità acquisita con la trascrizione della domanda, era opponibile ai C.-A., il cui titolo di acquisto era stato successivamente trascritto, il thema decidendum attiene alla ricorrenza o meno del requisito della buona fede, nel comportamento osservato dai successivi acquirenti; ai fini dell'utilità del successivo possesso richiesto per 1'usucapione.

A tal proposito, considerato che 1'art. 1147 c.c., dopo aver definito, al primo comma, possesso in buona fede il fatto di «chi possiede ignorando di ledere 1'altrui diritto», tuttavia precisa, al secondo, che «la buona fede non giova, se 1'ignoranza dipende da colpa grave», compito del giudici territoriali sarebbe stato quello di stabilire con valutazione discrezionale di merito adeguatamente motivata, se l'intervenuta omissione degli accertamenti, diretti a stabilire la persistente appartenenza del bene alla venditrice, potesse in concreto integrare gli estremi di una culpa lata, dolo proxima, tale da inquinare 1'apparente acquisto del bene alieno ed il conseguente possesso ad usucapionem.

A tale quesito i giudici di appello, premesso che «era onere degli acquirenti verificare la corrispondenza ipocatastale tra il bene trasferito e quello ricevuto», si sono limitati a fornire una sbrigativa risposta compendiata nella considerazione secondo la quale “se il C. e la A. avessero adempiuto a tutti gli oneri derivanti dal principio della normale diligenza, e della buona fede in particolare (ex art. 1147 cod. civ.), effettuando le dovute visure, sarebbe-ro stati in grado di apprendere che parte dell'immobile da loro acquistato era di pertinenza di altra unità abitativa e su cui 1'odierno appellante fin dal 23/12/1976 aveva provveduto a trascrivere la domanda giudiziale nei confronti della venditrice G.”.

L'affermazione, oltre che carente sul piano della concreta indagine in ordine all'elemento psicologico degli acquirenti nella particolare vicenda in questione, si appalesa insufficiente anche sotto il profilo giuridico, laddove fa riferimento alla normale diligenza, vale a dire a quella media la cui mancata osservanza tuttavia integra gli estremi della colpa lieve o ordinaria non anche di quella "grave", che invece richiede la violazione delle più elementari regole di prudenza ed avvedutezza (non intelligere quod omnes intelligunt), che costituiscono patrimonio minimo dell'esperienza anche delle persone meno dotate (in proposito v. Cass. n, n. 7202/95, n. 9762/99).

I giudici territoriali, in altri termini, hanno ritenuto di affermare una sorta di principio, generale ed astratto in virtù del quale dovrebbe presumersi sempre la colpa grave nell'acquirente di un immobile che non abbia, personalmente, compiuto accertamenti presso i registri immobiliari ed il catasto, al fine di accertare 1'effettiva appartenenza del bene all'alienante. Ma e dl tutta evidenza come 1'affermazione di siffatto principio si risolverebbe nella vanificazione pressoché totale della portata della norma di cui all'art. 1159 c.c, rendendo praticamente impossibile nella maggior parte dei casi 1'acquisto per usucapione abbreviata degli immobili, oggetto di trasferimento a non domino, considerate che normalmente le indagini c.d. "ipocatastali" consentono, attraverso 1'individuazione dell'intestatario o la successione dei trasferimenti di accertare 1'effettiva titolarità del bene nell'alienante.

Da tale considerazione e da una corretta applicazione del concetto di gravità della colpa, quale intesa secondo i correnti, gia menzionati, canoni giurisprudenziali e dottrinari, discende che la sussistenza della "buona fede", indispensabile agli effetti della particolare fattispecie acquisitiva in questione, non possa essere sempre e tout court esclusa dal mancato compimento delle indagini atte ad individuare 1'apparte nenza del bene a chi se ne affermi proprietario, ma soltanto nei casi in cui siffatta omissione sia, in concreto, connotata da quei caratteri di macroscopicità ed eclatanza che ne giustificano, in virtù della regola dettata dal secondo comma dell'art. 1147 c.c., la parificazione al dolo.

Così delineati i criteri direttivi dell'indagine, ai quali deve attenersi il giudice di merito, decisiva rilevanza assume, ai fini dell'accertamento del grado della colpa, il particolare atteggiarsi dei rapporti tra l'acquirente, o apparente tale, ed il notaio. soggetto istituzionale al quale il primo deve necessariamente rivolgersi per la formalizzazione di tali atti di acquisto (posto che, tra i requisiti prescritti all'art. 1159 cit. figura quella della trascrizione del "titolo idoneo") e che in base ai doveri professionali é tenuto, salvo che non sia stato espressamente dispensato dalle parti, a compiere tutte le verifiche atte ad accertare 1'appartenenza del bene a chi intenda alienarlo e la libertà dello stesso da ipoteche, trascrizioni, pesi et similia.

A tal riguardo, costituisce principio giurisprudenziale costante quello secondo il quale il notaio, pur fornendo una prestazione di mezzi e non di risultato, e tuttavia tenuto a perseguire il conseguimento dello scopo voluto dalle parti con la diligenza media, riferibile alla categoria professionale di appartenenza, in virtù della quale, non potendo la sua opera ridursi alla passiva registrazione delle altrui dichiarazioni, è tenuto a compiere anche le adeguate operazioni preparatorie all’atto da rogare; ne consegue che, nei casi di trasferimento immobiliare, tra tali compiti rientra pure quello di procedere, senza la necessità di uno specifico incarico - salvo che. per concorde ed espressa dispensa delle parti, per 1'urgenza o per altre particolari ragioui contingenti, non ne sia stato esonerato - alle cosiddette visure, dirette ad individuate il bene, accertarne la titolarità e la libertà (v., ex multis, Cass. sez. I n. 10495/99, sez. II n. 475/94, n. 10482/15, n. 5233/00. n. 547/02, n. 8470/02, n. 1228/03, n. 7261/03. n. 4427/05, sez. III n. 4020/95, n. 5946/99, n. 5158/01).

Tali principi in virtù dei quali costituisce, nei rapporti con il cliente, colpa professionale il mancato espletamento delle suddette attività preparatorie dell'atto, che normalmente rientrano tra i doveri del Notaio per altro verso, implicano la normale aspettativa, in chi a quest'ultimo si sia rivolto per la stipula di un atto di acquisto immobiliare, che i menzionati adempimenti siano compiuti: ne consegue che non può, in linea generale, affermarsi che versi in colpa grave colui che, rivoltosi ad un notaio per la redazione di un atto traslativo di immobile e non avendolo esonerato dal compiere le c.d. "visure" catastali ed ipotecarie, addivenga all'acquisto, in cospetto delle garanzia di titolarità del bene e libertà dello stesso fornite dall'alienante o apparente tale, e nella ragionevole presunzione che 1'ufficiale rogante abbia compiuto le opportune verifiche.

Tale grado di colpa potrà, eventualmente, ravvisarsi nei casi in cui l'acquirente già dall'esame del titolo sia messo in grado di escludere o comunque dubitare della titolarità in capo all'alienante, del diritto trasferito (in tal senso v. Cass. I sez. n. 4215/87, II sez. n. 7278/92), oppure, avendo esonerato il notaio dall'eseguire i suddetti ordinari accertamenti preliminari, non li abbia a sua volta compiuti, mentre nelle altre ipotesi la pur configurabile imprudenza nell’acquisto, compiuto fidandosi delle assicurazioni della controparte e nel convincimento che il notaio rogante ne abbia verificato la veridicità, senza chiederne tuttavia specifico conto, può integrare solo gli estremi della colpa lieve, inidonea ad escludere la buona fede, ai sensi dell'art. 1147 C.C. e, conseguentemente non ostativa all'acquisto per usucapione decennale ex art. 1159 c.c. dell'immobile, il cui possesso sia stato acquisito in forza di titolo astrattamente idoneo a trasferirlo e debitamente trascritto.

II ricorso va conseguentemente accolto per quanto di ragione, con cassazione della sentenza impugnata in relazione alle recepite censure e rinvio, per nuovo esame sulla scorta dei principi come sopra affermati, ad altra sezione della Corte territoriale di provenienza, che regolerà anche le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie, per quanto di ragione, il ricorso, cassa la sentenza impugnata in relazione alle accolte censure e rinvia, per nuovo esame e per il regolamento delle spese di questo giudizio ad altra sezione della Corte d'Appello di Roma.

La redazione di megghy.com

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