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Violenza sessuale: il bacio sulla bocca

Cassazione penale , sez. III, sentenza 02.07.2007 n° 25112

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE III PENALE

Sentenza 13 febbraio – 2 luglio 2007, n. 25112

(Presidente Grassi – Relatore Onorato)

Svolgimento del processo

1 - Con sentenza del 21.2.2006 la corte di appello di Napoli, parzialmente riformando quella resa il 12.1.2005 dal tribunale di Torre Annunziata, ha concesso ad A. G. il beneficio della non menzione, oltre a quello della sospensione condizionale della pena, ma ha confermato la condanna del medesimo alla pena di un anno e quattro mesi di reclusione siccome colpevole del reato di cui all'art. 609 quater c.p., per aver baciato due volte sulle labbra X. Y., di anni 13 (in Castellammare di Stabia il 12.7.2002).

Il tribunale aveva accertato che la ragazza, allora appena tredicenne, mentre camminava sulla pubblica via per recarsi al mare, era stata avvicinata dall'imputato, allora ultracinquantenne, che era stato bidello presso la scuola elementare in precedenza frequentata da X.. Il G., che era a bordo di un ciclomotore, si era fermato a chiacchierare con la minore e le aveva chiesto se fosse fidanzata. Alla risposta negativa, l'uomo le aveva chiesto in tono scherzoso se voleva fidanzarsi con lui. La minore, intimorita e imbarazzata, aveva replicato che doveva andar via; ma a quel punto il G. l'aveva presa per i polsi e le aveva dato due baci sulla bocca.

Tanto premesso in fatto, il tribunale, escluso il carattere violento della condotta, riteneva sussistere il reato di cui all'art. 609 quater c.p., anziché quello contestato di cui all'art. 609 bis c.p., e riconosciute le attenuanti generiche e quella di minore gravità di cui al terzo comma dello stesso art. 609 quater, condannava il G. a pena di giustizia, col beneficio della sospensione condizionale.

2 – L’imputato ha proposto personalmente ricorso per cassazione, lamentando erronea applicazione dell'art. 609 quater c.p. e conseguente difetto di motivazione.

Sostiene che la sentenza impugnata ha violato il principio, introdotto dalla recente novella dell'art. 533 c.p.p., secondo il quale l'imputato non può essere condannato se non risulta colpevole "al di là di ogni ragionevole dubbio".

Aggiunge che i giudici di merito hanno ritenuto la sua colpevolezza solo sulla base delle dichiarazioni accusatorie della persona offesa, che non hanno fornito alcuna certezza in merito all'accaduto.

Infine, sostiene che, dopo la novella legislativa del 1996, la nozione di atto sessuale è più ristretta di quella di atto di libidine, e che non ha carattere sessuale il bacio sulle labbra senza "penetrazione".

Motivi della decisione

3 - Il ricorso è infondato.

In ordine alla portata normativa dell'art. 5 della recente legge 20.2.2006, laddove ha modificato il primo comma dell'art. 533 c.p.p., introducendo come criterio del giudizio di colpevolezza la regola di tradizione anglosassone che si riassume nella formula "al di là di ogni ragionevole dubbio", questa corte ha già avuto modo di precisare che il legislatore del 2006 non ha introdotto un diverso e più rigoroso criterio di valutazione della prova, ma ha semplicemente formalizzato il criterio preesistente, desumibile dall'art. 530, comma 2, c.p.p., secondo il quale in caso di insufficienza o contraddittorietà della prova di colpevolezza l'imputato va assolto (Sez. I, n. 30402 del 28.6.2006, Volpon, ry. 234374; Sez. II, n. 19575 del 21.4.2006, Serino, rv. 233785): questo criterio previgente, infatti, non significava altro che la condanna dell'imputato era possibile soltanto quando era stata raggiunta la certezza processuale (appunto, oltre ogni ragionevole dubbio) della sua responsabilità (Sez. I, n. 20371 dell'11.5.2006, Ganci, rv. 234111).

A ben guardare, l'equipollenza sostanziale delle due regole d giudizio, solo formalmente diverse, deriva dal fatto che entrambe sono applicazione del principio generale della c.d. presunzione di innocenza, in base al quale il dubbio sulla colpevolezza si risolve in causa di assoluzione dell'imputato.

Nel caso di specie, la prova della responsabilità del prevenuto non era né insufficiente né contraddittoria, sicché il criterio di giudizio adoperato dai giudici di merito ha rispettato sia l'art. 530, comma 2, sia il testo novellato dell'art. 533, peraltro entrato in vigore dopo l'emanazione delle sentenze di merito.

4 - Quanto alla valutazione della prova, va ribadito che, secondo la dottrina e la costante giurisprudenza di questa corte, non vige nel nostro ordinamento il principio nemo idoneus testis in re sua, sicché la deposizione della persona offesa dal reato può essere da sola assunta come fonte di prova della responsabilità dell'imputato, anche se, essendo la persona offesa portatrice di un interesse confliggente con quello dell'imputato, le sue dichiarazioni vanno valutate con particolare rigore al fine di verificarne l'attendibilità intrinseca ed estrinseca.

Nel caso di specie, entrambi i giudici di merito hanno fatto buon governo di questi criteri di valutazione probatoria, accertando rigorosamente l'attendibilità della deposizione accusatoria della minore, soprattutto perché coerente, circostanziata e priva di astio, e inoltre perché riscontrata dalle dichiarazioni della madre, la quale, già nell'immediatezza del fatto, aveva confermato in tutti i dettagli il racconto della figlia.

Opportunamente i giudici hanno poi sottolineato, per avvalorare la credibilità delle dichiarazioni accusatorie, che non vi era stata costituzione di parte civile, sicché non ricorreva un interesse patrimoniale confliggente con quello dell'imputato.

5 - Resta il problema della rilevanza penale del fatto, così come accertato dalle sentenze di merito.

Non è questa la sede per ripercorrere la complessa elaborazione dottrinale e giurisprudenziale della nozione di "atti sessuali", che peraltro la legge 15.2.1996 n. 66 ha chiaramente introdotto per unificare, comprendondoli in una stessa nozione e in un medesimo trattamento sanzionatorio, la congiunzione carnale e gli atti di libidine previsti nella normativa previgente. Al riguardo, occorre soltanto sottolineare che la formulazione più convincente e compiuta della nozione è quella che, in conformità alla ratio e alla lettera della norma incriminatrice, identifica gli atti sessuali in tutti quegli atti che siano oggettivamente idonei a compromettere la libertà sessuale del soggetto passivo, invadendo la sfera sessuale di questo, mediante un rapporto corpore corpori, che non deve necessariamente riguardare le zone genitali ma può estendersi anche a tutte le altre zone ritenute erogene dalla scienza, non solo medica, ma anche psicologica, antropologica e sociologica.

In conformità a questa nozione "oggettiva” di atto sessuale, il dolo (generico) del reato consiste nella coscienza e volontà di compiere un atto lesivo della libertà sessuale della persona offesa, senza che rilevi l'ulteriore fine dell'agente, che è in genere quello di soddisfare la sua concupiscenza, ma può anche essere un fine ludico o di umiliazione della vittima.

Peraltro, in particolare in tema di baci sulla bocca, al fine di evitare una eccessiva dilatazione della connotazione sessuale della condotta, che sarebbe contraria sia al senso comune sia al principio di determinatezza della fattispecie penale, occorre che il riferimento alle zone erogene sia integrato con l'attenta valutazione del contesto sociale e culturale in cui si realizza la condotta stessa.

Così, se il bacio sulla bocca indubbiamente attinge una zona generalmente considerata erogena, è altrettanto indubbio che esso perde il connotato sessuale se è dato in particolari contesti sociali e culturali. Per esempio, nella tradizione russa il bacio sulla bocca è scambiato come forma di saluto, sicché il bacio c.d. alla russa non può identificarsi come atto sessuale. Altrettanto può avvenire in certi contesti familiari o parentali, in cui il bacio sulla bocca tra parenti è solo un segno di affetto, privo di connotazioni sessuali penalmente rilevanti.

In questi e in consimili contesti non erotici esula la nozione penale di atti sessuali, perché - secondo la nozione surrichiamata - la condotta dell'agente non è oggettivamente idonea a compromettere la libertà sessuale del soggetto passivo, o più esattamente del partner, indipendentemente dal consenso di quest'ultimo.

Al contrario, al di fuori dei contesti sopra esemplificati, il bacio sulla bocca assume valenza sessuale, sicché integra il reato di cui all'art. 609 bis c.p., se dato senza il consenso o con abuso della posizione di inferiorità del soggetto passivo, o il reato di cui all'art. 609 quater c.p., se dato a soggetti infraquattordicenni oppure a soggetti infrasedicenni legati da un rapporto di subordinazione con il soggetto agente.

Non si può però fare distinzione ai fini penali in base alla "profondità" del bacio, sino ad escludere la natura sessuale per i baci caratterizzati soltanto dal contatto delle labbra, e riservare la nozione di atto sessuale soltanto ai baci che arrivano al contatto delle lingue, come pretende il ricorrente. Entrambe le tipologie di baci, infatti, sono idonei a ledere la libertà e integrità sessuale del soggetto passivo (a meno che si tratti di baci leggeri scambiati in quei particolari contesti non erotici che ne escludono la connotazione sessuale).

Si deve quindi concludere che non soltanto il bacio profondo, o bacio alla francese, col contatto delle lingue (o con penetrazione, per usare il linguaggio del ricorso), ma anche il bacio limitato al semplice contatto delle labbra, configura un atto sessuale idoneo a invadere la sfera intima del soggetto passivo, e come tale integra uno degli elementi materiali delle fattispecie penali previste negli artt. 609 bis, 609 quater e 609 octies cod. pen..

Sotto questo profilo, alla luce degli esposti principi, del tutto correttamente i giudici di merito hanno ritenuto integrato nel caso di specie il reato di cui all'art. 609 quater, comma 1, n. 1., giacché è pacifico che l'imputato ultracinquantenne, quel giorno di luglio del 2002, dopo aver fermato per la strada la tredicenne X., le dette improvvisamente due baci sulle labbra, invadendo illecitamente la sfera della sua sessualità, tanto che la minore ne rimase profondamente turbata per molto tempo e dovette addirittura ricorrere all'aiuto specialistico dello psicologo.

6 - Ai sensi dell'art. 616 c.p.p. consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. Considerato il contenuto del ricorso, non si ritiene di irrogare anche la sanzione pecuniaria a favore della cassa delle ammende.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Scritto da Admin il 16 Luglio 2007 alle 07:00

 
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