Pagamenti virtuali: bancarotta fraudolenta per distrazione
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE V PENALE
Sentenza 12 maggio - 23 settembre 2009, n. 37107
(Presidente Amato - Relatore Oldi)
Fatto
Con sentenza in data 25 settembre 2008 la Corte d'Appello di Roma, in ciò confermando la decisione assunta dal locale Tribunale (invece riformata nei confronti di altro imputato), ha riconosciuto Ivan Giuseppe B. responsabile del delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale in relazione alla dichiarazione dello stato d'insolvenza della società Edina s.p.a., della quale era stato presidente del consiglio di amministrazione; ha quindi tenuto ferma la sua condanna alla pena di legge e al risarcimento dei danni in favore delle parti civili Efimpianti s.p.a. ed Efim s.p.a..
Secondo l'ipotesi accusatoria, recepita dal giudice di merito, il B. aveva distratto dal patrimonio della società le somme di denaro, per un ammontare complessivo di lire 1.945.888.000, corrispondenti a fatture relative a prestazioni in realtà mai eseguite, emesse dalla Reggiane O.M.I. s.p.a., anch'essa da lui amministrata e appartenente allo stesso gruppo.
Ha ritenuto il giudice di appello che la prova del commesso reato fosse stata raggiunta attraverso tre livelli di verifiche, costituiti: 1) dalla perizia contabile disposta, con incidente probatorio, nel corso dell'udienza preliminare; 2) da molteplici conferme testimoniali; 3) dall'attività cosiddetta di “reggianizzazione”, svolta dal B. a seguito dell'intervento della Guardia di Finanza e consistita nella creazione di una documentazione solo apparentemente riferibile alla Reggiane s.p.a..
Ha proposto ricorso per cassazione il B., per il tramite del difensore, affidandolo a tre motivi.
Col primo motivo il ricorrente ripropone l'eccezione di nullità della vocatio in ius attivata successivamente alla restituzione degli atti da parte della Corte Costituzionale (investita di una questione giudicata manifestamente infondata), con specifico riferimento alla notifica ex art. 161 c. 4 c.p.p. del solo verbale di un'udienza di rinvio (per rilevata nullità di una precedente notifica), non accompagnata dalla copia dell'originario decreto di citazione e del decreto datato 11 gennaio 2005, che aveva disposto la ripresa del dibattimento. Sulla questione, involgente a suo avviso la problematica relativa alle modalità di riavvio del dibattimento dopo la pronuncia della Consulta, il deducente chiede la rimessione del ricorso alle Sezioni Unite.
Col secondo motivo il B. denuncia vizio di motivazione e travisamento della prova, relativamente alla ritenuta inesistenza delle operazioni fatturate; sotto altro profilo contesta che possa fondatamente parlarsi di distrazione in rapporto a pagamenti esclusivamente virtuali, effettuati attraverso addebiti e speculari accrediti sul conto corrente di corrispondenza intrattenuto dalla Edina e dalla Reggiane con la società capogruppo Efimpianti; contesta, altresì, che tali operazioni abbiano influito sul bilancio della società.
Col terzo motivo il ricorrente contesta la configurabilità del dolo, essendo mancata da parte sua la consapevolezza di porre in essere atti idonei ad incidere sulla garanzia per i creditori, in quanto lo stato d'insolvenza non si era ancora manifestato.
Vi è agli atti una memoria della parte civile, con cui si deduce l'inammissibilità e l'infondatezza del ricorso.
Diritto
Il ricorso è privo di fondamento e va disatteso.
Dell'eccezione che sottende il primo motivo del ricorso va rilevata l'inammissibilità. Essa, invero, ambisce a fondarsi sul rilievo per cui, dopo la restituzione degli atti da parte della Corte Costituzionale, essendosi resa impossibile la notifica all'imputato della citazione a giudizio nel domicilio dichiarato, a motivo della sua irreperibilità, si è provveduto alla notifica presso il difensore ai sensi dell'art. 161 c. 4 c.p.p.: tuttavia in modo irrituale, per essere mancata la consegna del decreto di citazione e dell'originario decreto che aveva disposto il giudizio, invalidamente sostituiti dall'estratto del precedente verbale di udienza. Senonché riconosce lo stesso ricorrente che la nullità così prodottasi è da considerare a regime intermedio, come statuito del resto da un precedente giurisprudenziale relativo ad un caso analogo (Cass. 1 aprile 2004 n. 36724); la conseguenza non è quella descritta nel ricorso, cioè la possibilità di rilevare la nullità fino alla deliberazione della sentenza del grado successivo, bensì l'operatività della sanatoria prevista dall'art. 182 c. 2 c.p.p.: infatti, come esattamente rilevato dalla Corte d'Appello, il difensore di fiducia del B. ha omesso di eccepire alcunché, sebbene presente all'udienza del 16 maggio 2005.
La conseguente tardività dell'eccezione sollevata nel grado di giudizio successivo si traduce nell'inammissibilità del motivo di ricorso in esame: donde la superfluità dell'invocata rimessione degli atti alle Sezioni Unite di questa Corte Suprema.
Il secondo motivo di ricorso è in parte inammissibile e in parte infondato.
Il vizio di inammissibilità infirma la censura con la quale il ricorrente contesta il giudizio di inesistenza delle operazioni fatturate, espresso dalla Corte di merito in base alla valutazione delle emergenze probatorie. Essa, invero, tende a sollecitare il riesame del merito - non consentito in sede di legittimità - attraverso la rinnovata valutazione degli elementi probatori acquisiti.
La Corte territoriale ha dato pienamente conto delle ragioni che l'hanno indotta al convincimento espresso nella sentenza, evidenziando come ben tre livelli di verifiche avessero condotto a quel risultato; a tal fine ha apprezzato, per un verso, la perizia contabile disposta nel corso dell'udienza preliminare e i rilievi ivi svolti a dimostrazione della mancata esecuzione, da parte della società Reggiane, delle prestazioni fatturate; per altro verso si è richiamata alle molteplici conferme testimoniali, rivenienti dalle deposizioni dei testi [VARI]; infine ha portato la sua attenzione sull'attività di cosiddetta “reggianizzazione”, consistita nella formazione da parte del B. di tutta una serie di documenti apparentemente riferibili alla società Reggiane e finalizzati a fornire una prova postuma di fatti non veri.
La linea argomentativa così sviluppata, immune da vizi logici e giuridici, si sottrae al sindacato di legittimità. Né giova al ricorrente denunciare l'omessa risposta alle deduzioni difensive svolte nei motivi di appello, nel tentativo di contrastare la valenza probatoria degli elementi cosi valorizzati; ed invero, a soddisfare l'obbligo del giudice di motivare il proprio deliberato è sufficiente l'esposizione delle ragioni salienti della decisione incompatibili con l'accoglimento delle tesi difensive, senza che sia necessaria l'analitica confutazione di tutte le contrarie argomentazioni portate dell'imputato.
L'infondatezza è propria dell'assunto con cui il ricorrente nega potersi configurare il carattere distrattivo di atti di disposizione patrimoniale tradottisi in pagamenti esclusivamente virtuali, in quanto effettuati attraverso l'annotazione di poste passive - e corrispondentemente attive per la società Reggiane - sul conto corrente di corrispondenza intrattenuto da ambedue le società interessate con la capogruppo Efimpianti s.p.a.. Alla linea difensiva così sviluppata è agevole contrapporre che ogni operazione contabile passiva inserita in un conto corrente influisce, direttamente ed immediatamente, sul saldo di esso: sicché, ove questo sia attivo, ne deriva una corrispondente perdita di disponibilità patrimoniale (cioè una riduzione del credito verso l'alto correntista); mentre nel caso opposto ne deriva un aggravamento della posizione debitoria. In entrambi i casi l'operazione contabile dà luogo a un depauperamento che, nella prospettiva del successivo fallimento (o provvedimento equivalente), integra quella distrazione che costituisce l'elemento oggettivo del delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale.
Per le stesse ragioni non si può negare che le operazioni contabili di cui sopra, alterando i rapporti di credito e debito, abbiano influito sul bilancio della società.
Privo di fondamento è il terzo motivo di ricorso, col quale il B. contesta la configurabilità del dolo; assume il ricorrente di non aver avuto alcuna consapevolezza di ledere l'interesse dei creditori, avendo agito in un'epoca in cui non si era ancora manifestato lo stato d'insolvenza della società. In proposito occorre considerare che, ad integrare l'elemento psicologico del delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione, è sufficiente il dolo generico, che consiste nella coscienza e volontà di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa rispetto alle finalità dell'impresa, nella prevedibilità di un pregiudizio per i creditori sotto il profilo della riduzione della garanzia patrimoniale offerta dal debitore: mentre non è necessaria la consapevolezza dello stato di dissesto in cui l'impresa stessa si trova (Cass. 1 luglio 2002 n. 29896). D'altra parte la Corte d'Appello ha chiaramente spiegato come fosse dimostrata la colpevole volontà dell'imputato di trasferire risorse economico-finanziarie da una società all'altra, in un momento di difficoltà del gruppo di appartenenza e, quindi, della stessa Edina s.p.a..
Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Spetta alla parte civile, comparsa in udienza, la rifusione delle spese sostenute nel presente giudizio di legittimità, la cui liquidazione è effettuata in Euro 1.500,00 per onorari, da maggiorarsi in ragione degli accessori di legge.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento, nonché alla rifusione dell'onorario difensivo in favore della parte civile, che liquida in Euro 1.500,00 oltre I.V.A. e C.P.A..
Scritto da Admin il 25 Ottobre 2009 alle 08:00
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