Non risarcibile il danno derivante dal Black out 2003
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE III CIVILE
Ordinanza 25 giugno - 21 settembre 2009, n. 20324
(Presidente Preden - Relatore Frasca)
Ritenuto quanto segue
§1. L'Enel Distribuzione s.p.a. ha proposto ricorso per cassazione contro M. C. T. avverso la sentenza n. 594 del 21 agosto 2006, con la quale il Tribunale di Paola ha rigettato l'appello da essa ricorrente proposto avverso la sentenza con cui il Giudice di Pace di Cetraro, investito dal T. - nella qualità di titolare di un'utenza di erogazione dell'energia elettrica ed in relazione all'interruzione della somministrazione dell'energia elettrica verificatasi nella notte tra il 27 ed il 28 settembre 2003 - della domanda di rimborso della quota forfettaria di euro 25,82 in forza di una previsione della c.d. carta dei servizi Enel e della domanda di risarcimento dei danni, sia a titolo di responsabilità contrattuale che extracontrattuale, aveva disatteso la prima domanda ed accolto la seconda nella misura di quello stesso importo.
Al ricorso, che si fonda su sei motivi, tutti corredati dalla formulazione del requisito di cui all'art. 366-bis c.p.c., l'intimato non ha resistito.
§2. Il ricorso è soggetto alle disposizioni sul processo di cassazione, di cui al d.lgs. n. 40 del 2006, attesa la data di pronuncia della sentenza impugnata. Essendosi ritenute sussistenti le condizioni per la decisione in camera di consiglio, è stata redatta relazione ai sensi dell'art. 380-bis c.p.c., che è stata notificata all'avvocato della parte ricorrente e comunicata al Pubblico Ministero presso la Corte.
Parte ricorrente ha depositato memoria.
Considerato quanto segue
§1. Nella relazione ai sensi dell'art. 380-bis c.p.c. si sono svolte le seguenti considerazioni:
«[....] 3. - Con il primo motivo di ricorso si denuncia “violazione dell'art. 348 c.p.c. (art. 360 n. 3 c.p.c.)” e “omessa o insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 n. 5 c.p.c.)”. Vi si censura la sentenza impugnata perché ha affermato che la mancata produzione della sentenza di primo grado determinava l'improcedibilità dell'appello, ma la denuncia è espressamente fatta in via cautelativa, giacché si assume che in concreto il Tribunale non ha tratto da tale affermazione la conseguenza della dichiarazione della improcedibilità dell'appello, avendo deciso quest'ultimo nel merito.
In effetti, ciò risponde al vero, perché la sentenza impugnata dalla suddetta affermazione ha tratto soltanto una ulteriore ragione di conferma della valutazione dalla [rectius: della] sentenza di primo grado in punto di liquidazione del danno ed in funzione del rigetto del relativo motivo d'appello.
Il motivo in questione è, perciò, inammissibile, in quanto non trova rispondenza nel decisum della sentenza.
4. - Con il secondo motivo si deduce “violazione del decreto legislativo 16.3.1999 n. 79 ed in particolare degli artt. 1-2-3-9-13 dello stesso art. 360 n. 3 c.p.c.”, nonché “omessa o insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 n. 5 c.p.c.)”. Vi si censura la sentenza impugnata in relazione a considerazioni fatte riguardo alla posizione assunta dall'Enel a seguito del detto d.lgs. in relazione alla G.R.T.N. s.p.a.
Con il terzo motivo si lamenta “violazione dell'art. 1218 c.c. (nonché e correlativamente del d.l. 16.3.1999 n. 79, artt. 1-2-3-9-13) (art. 360 n. 3 c.p.c.)”. Vi si critica la sentenza impugnata per non avere ritenuto che la prestazione della ricorrente era stata impossibile per causa ad essa non imputabile, in dipendenza del mancato ricevimento dell'energia dalla rete nazionale gestita dalla G.R.T.N.
Con il quarto motivo viene dedotta “nullità processuale e violazione dell'art. 112 c.p.c. (art. 360, nn. 3 e 4 c.p.c.)” sotto il profilo che il Tribunale avrebbe riconosciuto corretta la liquidazione del danno operata dal giudice di pace ancorché essa fosse stata effettuata - ai sensi dell'art. 1226 c.c. - con ultrapetizione, derivante dal fatto che l'utente aveva chiesto il danno solo per la perdita delle provviste alimentari nel frigorifero e tale danno quel giudice aveva ritenuto non provato e non riconoscibile.
Con il quinto motivo viene lamentata “violazione degli artt. 1226 e 2697 c.c. (art. 360 n. 3 c.p.c.)” e “omessa motivazione su profili decisivi (art. 360 n. 5 c.p.c.)”.
Vi si censura la sentenza impugnata per avere confermato la decisione del Giudice di Pace in punto di ricorso al criterio equitativo nel riconoscimento del danno asseritamente subito dall'intimato ed in particolare il punto della motivazione con cui il Tribunale ha disatteso l'appello in proposito, osservando che il primo giudice, nel ritenere dimostrato il danno (e nel liquidarlo nella misura che era stata richiesta con la domanda di rimborso forfettario), avrebbe “usato il parametro contrattuale per dare contenuto al criterio equitativo adottato, ritenendo sulla base delle nozioni di comune esperienza che una interruzione di energia protratta secondo l'id quod plerumque accidit comporta danni economicamente apprezzabili”.
In tal modo il Tribunale avrebbe riconosciuto esistente il danno senza che l'attore l'avesse provato e senza che avesse richiesto di provarlo ed anzi in presenza di una situazione in cui il Giudice di Pace aveva disatteso la domanda dell'attore intesa ad ottenere il riconoscimento di quello che aveva allegato essere stato il danno, cioè il deterioramento di prodotti alimentari asseritamente conservati nel frigorifero. Il Tribunale avrebbe in sostanza assunto come assioma che un qualche danno doveva essersi prodotto, non rispondendo ad alcuna massima di esperienza l'affermazione sopra riportata.
In relazione a tale motivo ed evidentemente per la censura ai sensi del n. 3 dell'art. 360 c.p.c., si formula innanzitutto il seguente quesito di diritto: «Dica la Suprema Corte se in un giudizio di risarcimento del danno da preteso inadempimento contrattuale gravi sull'attore l'onere di allegare e provare l'esistenza del danno in concreto. Dica inoltre se sia impedito al giudice del merito di procedere alla liquidazione equitativa del danno in assenza dell'assolvimento del suddetto onere probatorio. Dica infine se sia impedito al giudice del merito di liquidare in via equitativa senza fornire congrue ragioni del processo logico attraverso il quale equitativo sia stato espresso».
Si formula, poi, quanto alla censura ai sensi del n. 5 dell'art. 360 c.p.c. la c.d. chiara indicazione, relativa all'omissione ed all'insufficienza della motivazione su due asseriti fatti controversi. L'omissione concernerebbe la mancanza di spiegazione in ordine alla natura del danno liquidato. L'insufficienza concernerebbe il riferimento dell'ammontare del danno al parametro contrattuale, che invece non sarebbe pertinente.
Con il sesto motivo si denuncia “nullità del procedimento (art. 360 n. 4 c.p.c.). Violazione degli artt. 99-112-115 c.p.c. nonché dei principi in ordine alla nozione di fatto notorio ed all'utilizzazione del fatto notorio nel processo (art. 360 n. 3 c.p.c.). Omessa o insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 n. 5 c.p.c.)”.
La prima censura è articolata - riprendendo quanto dedotto con il quarto motivo - nel senso che, poiché il Giudice di Pace aveva disconosciuto il danno per il deterioramento dei prodotti nel frigorifero ed aveva riconosciuto il danno in via equitativo nella misura di euro 25,82 e, quindi, un danno che non era mai stato dedotto, il Tribunale, confermando la sentenza di prime cure, sarebbe incorso nella stessa violazione, dando, inoltre, rilievo ad un preteso fatto notorio non dedotto dalla parte.
La seconda censura addebita alla sentenza la violazione del concetto di fatto notorio, perché avrebbe assunto come tale un fatto che non avrebbe quella consistenza, posto che non sarebbe vero che ogni interruzione dell'energia elettrica provochi danno al titolare dell'utenza. Occorrerebbe, infatti, che nel momento in cui l'interruzione si verifica persone o cosa ne subiscano gli effetti, il che potrebbe non essere, tenuto conto che l'immobile servito dall'utenza potrebbe essere disabitato, oppure della verificazione della stessa di notte, come nella specie, oppure del fatto che un utente potrebbe avere un frigorifero ed altro no, uno vi potrebbe tenere derrate e l'altro no, uno potrebbe tenerne di deperibili ed altro no.
Questa seconda censura viene anche svolta sotto il profilo del difetto di motivazione.
In relazione sostanzialmente alla prima ed alla seconda censura viene formulato il seguente quesito di diritto: «Dica la Suprema corte se il giudice di merito possa o meno considerare sussistente e liquidare in favore dell'attore un danno patrimoniale (non altrimenti specificato) ritenendo che sia notorio che un certo fatto produca un danno, senza alcuna allegazione o prova da parte dell'attore e senza che lo stesso abbia neppure dedotto che sia notorio che questo specifico fatto produca un danno. In subordine, dica se corrisponde ad una esatta nozione di notorio ritenere che una interruzione di energia elettrica comporti sempre un danno (non altrimenti specificato) economicamente apprezzabile per l'utente».
5. - In ossequio al principio di c.d. economia processuale, sotteso al precetto costituzionale della durata ragionevole del processo, sembra doversi ritenere che - al di là dell'ordine logico dei motivi proposti (diversi dal primo, già scrutinato) - potrebbe essere riconosciuto carattere assorbente alla censura ai sensi del n. 5 dell'art. 360 c.p.c. prospettata con il quinto ed il sesto motivo, da esaminarsi congiuntamente. Esse, infatti, sono propositive di una questione che al tempo stesso appare di più immeditata “liquidità decisoria” e, nel contempo si presta a giustificare la decisione nel merito in sede di legittimità e, quindi, la “fine del processo”.
Va chiarito, preliminarmente, che non ha rispondenza nella motivazione della sentenza impugnata la censura, pure prospettata con il sesto motivo, con cui è lamentata l'erronea applicazione da parte del Tribunale del paradigma normativo di cui al secondo comma dell'art. 115 c.p.c. in punto di c.d. fatto notorio. Tale errore risiederebbe nell'affermazione da parte del Tribunale che “sulla base delle nozioni di comune esperienza” dovrebbe ritenersi “che una interruzione di energia protratta secondo l'id quod plerumque accidit comporta danni economicamente apprezzabili”. Si tratta di un'affermazione con la quale il Tribunale ha ritenuto corretto, dandone in sostanza una motivazione, il riconoscimento in asserita via equitativa ai sensi dell'art. 1226 c.c. dell'esistenza di un danno, inteso come danno c.d. conseguenza, da parte del Giudice di Pace.
Ora, siffatta affermazione - al contrario di quanto sostiene il ricorso - non palesa affatto l'assunzione da parte del Tribunale, a fondamento del proprio processo motivazionale, dell'istituto di cui al secondo comma dell'art. 115 c.p.c. Il Tribunale, infatti, se ha fatto riferimento a nozioni di comune esperienza, così evocando espressioni colà contenute, non vi ha fatto riferimento con il pieno utilizzo del paradigma normativo di cui a quella norma, posto che non ha parlato di “nozioni di fatto di comune esperienza”. L'assenza di riferimento al complemento di specificazione, unita alla mancanza di riferimenti all'art. 115, secondo comma, giustifica senza ombra di dubbio tale conclusione.
La motivazione svolta dal Tribunale con l'affermazione sopra riportata, per giustificare la conferma della sentenza di prime cure, si palesa viceversa come espressiva di un ragionamento che ha condotto il Tribunale a ritenere che sussistesse in atti prova di un danno sulla base di una massima di esperienza di natura logica basata non già sulla c.d. causalità necessaria, per cui se si verifica A necessariamente si verifica B, bensì sulla c.d. causalità (inferenza) di natura probabilistica, per cui se si verifica A è probabile che si verifichi B. Lo fa manifesto il riferimento all'id quod plerumque accidit.
Senonché, la pretesa massima di esperienza di natura causale-probabilistica è stata affermata dal Tribunale senza alcun riferimento alla vicenda concreta ed in modo del tutto astratto. Ora, il ragionamento basato sulla c.d. inferenza probabilistica è certamente un ragionamento che postula l'assunzione dell'inferenza come regola generale per cui se accade un fatto A di norma accade un fatto B, ma quando esso è adoperato in funzione probatoria in un determinato giudizio lo deve essere necessariamente con l'enunciazione delle ragioni per cui nella specie l'inferenza è giustificata in relazione al caso concreto.
Invece, il Tribunale, dalla mera osservazione che di norma l'interruzione dell'energia elettrica protratta per un certo tempo cagiona danno ha preteso di desumere che il danno dell'utente doveva ritenersi nella specie esistente. Sotto tale profilo, la motivazione appare assolutamente insufficiente ed anzi apodittica, perché pretende di trasformare la regola probabilistica generale in regola di inferenza probabilistica adeguata al caso concreto senza offrire alcuna giustificazione.
Si tratta di insufficienza motivazionale che appare decisiva, nel senso che la decisione, sul punto in cui ha riconosciuto dimostrato ed esistente un danno-conseguenza, non si giustifica ed in concreto non è stata giustificata altrimenti.
La sentenza impugnata dovrebbe, pertanto, essere cassata per l'insufficienza della motivazione in ordine alla prova del fatto costitutivo della domanda di risarcimento danni costituito dalla verificazione di un danno-conseguenza.
Poiché è la stessa motivazione ad attribuire il processo motivazionale seguito alla sentenza di primo grado e, dunque, a rivelare che la dimostrazione dell'esistenza del danno liquidato non era altrimenti giustificabile in atti, sembra sussistere una situazione che non esige il rinvio al giudice di merito, dovendosi in sede di legittimità prendersi atto, senza necessità di alcun accertamento di fatto, che la domanda di risarcimento danni risultava indimostrata quanto alla verificazione del danno e come tale avrebbe dovuto essere rigettata in riforma della sentenza del Giudice di Pace.
Tanto, dunque, parrebbe giustificare una cassazione con decisione nel merito di rigetto della domanda di risarcimento danni (ferma restando la reiezione della domanda di rimborso già disposta dal Giudice di Pace e non oggetto di devoluzione in appello).».
§2. Il Collegio condivide integralmente le argomentazioni e le conclusioni della relazione.
La sentenza impugnata va, dunque, cassata e, sussistendo - come evidenziato nella relazione - le condizioni per decidere sul merito dell'appello, in accoglimento dello stesso, fermo il rigetto della domanda di rimborso disposto dal Giudice di pace di Cetraro, va rigettata la domanda di risarcimento danni proposta da M. C. T.. La cassazione e decisione nel merito comporta che si debba provvedere sulle spese dell'intero giudizio. Considerato che la controversia è stata determinata da un evento che ebbe grande risonanza ed interessò tutta la comunità nazionale, riguardo al quale, almeno nella considerazione dell'opinione pubblica non risultano ancora chiarite le responsabilità e soprattutto non lo erano, anche per quanto attiene alla qui ricorrente, al momento dell'instaurazione della lite, il Collegio ravvisa l'esistenza di giusti motivi per la compensazione delle spese dell'intero giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il quinto e sesto motivo del ricorso. Dichiara inammissibile il primo ed assorbiti gli altri. Cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e, decidendo nel merito, rigetta la domanda di risarcimento danni proposta dalla parte attrice. Compensa per giusti motivi le spese dell'intero giudizio.
Scritto da Admin il 15 Ottobre 2009 alle 07:00- 506 Articoli Totali
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