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Ma Marco non cercava solo lavoro, voleva di più. Pensava alla dignità, alla libertà, ai diritti che non aveva mai conosciuto. Pensava a tutto quello che il regime fascista non consentiva di pensare


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MARCO "PIETRO" PERPIGLIA
BIOGRAFIA

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Marco "Pietro" Perpiglia.

MARCO "PIETRO" PERPIGLIA (1910- 1983)
Oppositore del regime fascista e patriota. Naque nel 1910. Fu un fervido sostenitore del Partito cominista di cui fu un tesserato. Parti’ come volontario in Spagna, al seguito della XII Brigata internazionale “Garibaldi” per battersi contro il generale Franco. Subita la sconfitta, fu mandato in francia dove fu internato in un campo di concentramento. Consegnato ai fascisti di Mussolini, fu trasferito nella prigione di La Spezia e, successivamente, mandato al confine nell’isola di Ventotene. Soltanto dopo la caduta della dittatura fascista riusci’ a ricongiungersi con la moglie Giuseppina Russo a La Spezia. Nella citta’ ligure ebbe un ruolo di primo piano nell’attivita’ sindacale per la quale venne anche arrestato. Si uni’ poi ai partigiani in Liguria dove conbatte fino al giorno della liberazione (25 aprile 1945). Ritornato a La Spezia, inizio’ a militare attivamente nel Partito comunista della citta’. Diresse anche la sezione Sud-Arsenale delpartito. Rientro’ a Roccaforte del Greco nei primi anni del 60 del Novecento. Qui mori nel 1983. A lui è intitolata una piazza del paese.

Il Comunista di Roccaforte
Ottobre è un buon mese per morire. La valle ai piedi di Roccaforte del Greco si colora dei toni dell'autunno e la brezza che si arrampica verso la montagna porta con se l'annuncio di un inverno gelido. L'ennesimo.
Marco guarda la fiumara e prima d'impugnare la vecchia pistola che scriverà la parola fine alla sua vita, respira profondo, con calma.
Niente a che vedere col fiatone che lui e Giuseppina si erano procurati correndo tra gli ulivi cinquant'anni prima per consumare la loro "fuitina". Che bello che era stato, quanta gioia in quei volti tersi dal sudore. Nonostante la miseria. Malgrado tutto.
«Marco Perpiglia vuoi tu prendere in sposa la qui presente Giuseppina Russo?». Il matrimonio a Roccaforte del Greco si era svolto con la festa in casa, come si usava una volta. E in quella casa era nata anche Adelina, la loro prima bambina. Li, era morta dopo pochi mesi. E Marco non aveva capito neppure il perchè. Era malata gli aveva detto il medico. Era vittima della miseria, per Marco. E per fuggire alla miseria, assieme a Giuseppina erano partiti per il nord. A La Spezia, dove cercavano operai, ci erano arrivati pochi mesi dopo. Marco aveva iniziato immediatamente a lavorare come ebanista all'arsenale, Giuseppina, poco dopo, allo jutificio della Montecatini.
Ma Marco non cercava solo lavoro, voleva di più. Pensava alla dignità, alla libertà, ai diritti che non aveva mai conosciuto. Pensava a tutto quello che il regime fascista non consentiva di pensare.
Per questo si era iscritto al Partito comunista clandestino. Ma La Spezia brulicava di collaborazionisti in quegli anni. Nel '36 i fascisti già lo cercavano e nel gennaio del '37 assieme al fratello Ninì, che intanto lo aveva raggiunto, si era deciso di fuggire, verso la Francia. Per un pò, pensavano. Ninì si era fermato a Marsiglia, in Marco invece bruciava il fuoco della politica.
Al confine con la Spagna, Luigi Longo stava organizzando le "Brigate internazionali" che dovevano andare a combattere contro il generale Franco. Più di 44 mila uomini di 56 paesi diversi. Marco si era unito a loro, non poteva mancare.
E lì che per la prima volta impugna un'arma. Simile a quella che ora guarda distrattamente. Marco non ha un gran rapporto con le armi. Non lo aveva neppure nel luglio del '37, quando ad Albacete aveva varcato il confine spagnolo con il dodicesimo battaglione Garibaldi delle Brigate internazionali.
Mesi intesi. Marco era diventato il commissario politico della dodicesima, col nome di battaglia di "Pietro". Si combatte sui fronti di Brunete, Huesca, Estramadura, sull'Ebbro. "Pietro" non l'aveva manco vista quella pallottola che gli aveva scheggiato la gola. Si era scoperto vivo per un soffio , poco prima che le democrazie europee voltassero le spalle alla Spagna e il fascista Franco avesse il sopravvento.
Nei primi mesi del '39 quel che restava delle Brigate internazionali era stato deportato nei campi di prigionia francesi, allestiti dal governo filofascista di Petain.
I campi portavano nomi destinati a non essere dimenticati: St. Cyprien, Gurs, Vernet. Duecento uomini per ogni baracca sommersa nella neve. Erano stati mesi durissimi. Marco aveva letto molto, aveva studiato, e aveva scritto per i tanti compagni che non lo sapevano fare.
«Ogni mattina - aveva detto in lettera alla madre - trovo un compagno morto. Per fame, per freddo, per malattia».
Era il gennaio del '41, quando i francesi avevano deciso di consegnare i prigionieri italiani alle camicie nere di Mussolini.
Più tardi un tribunale speciale aveva processato Marco, non il temuto "Pietro". Per questo errore invece che alla fucilazione era stato condannato a 5 anni di confino a Vetotene: con Pertini, Terracini, Pacciardi. Sarebbe stata meglio la fucilazione piuttosto che la notizia della morte di suo figlio. Il piccolo Rocco, nato quattro anni prima, era stato travolto da un'automobile mentre Giuseppina era in fabbrica.
Ancora due anni lontano da La Spezia e da Giuseppina. Fino al 25 luglio del '43, quando cade il governo Mussolini. Il rientro coinciderà con un nuovo impegno nel Pci. Erano stati mesi di scioperi, arresti, torture, fughe rocambolesche, fin quando braccato era stato costretto a fuggire in montagna tra i partigiani.
Sui monti era stata fondata la brigata Centocroci, il partito gli aveva chiesto di assumere il ruolo di commissario politico della quarta zona operativa ligure. Giuseppina non era stata da meno. A La Spezia era entrata a far parte della Brigata Gramsci. Fino alla liberazione.
Con la pistola in mano il vecchio Marco quasi sorride a ripensare alla grande festa fatta per la caduta definitva del nazifascismo.
All'indomani di quei giorni memorabili il "compagno Marco Perpiglia", membro del Clnp, era stato proposto per la carica di Prefetto e alle prime elezioni lo si voleva far candidare come senatore della Repubblica. Marco aveva rifiutato, forse per colpa di quel suo chiodo fisso. Voleva costruire la Camera del lavoro in Calabria, nella provincia di Reggio, da cui era dovuto emigrare. Sei mesi a Reggio, poi il rientro a La Spezia.
Nella città dello Stretto aveva vissuto nella sede del Pci. Tornato a La Spezia, dopo alcuni mesi aveva ripreso l'attività politica e sindacale. Ma i sindacalisti non sono amati dai padroni. Nel '52, assieme ad altre centinaia di lavoratori, viene licenziato. Il ministro degli interni Pacciardi, di cui era stato commissario politico in Spagna, si propone di aiutarlo e di farlo riassumere. Figuarasi, a Marco, che non aveva mai chiesto o voluto nulla di quanto non poteva condividere coi compagni. Aveva rifiutato l'offerta a vantaggio di un "un padre di 4 figli".
Fino al '62 quando con Giuseppina avevano deciso di rientrare a Roccaforte del Greco. Lo scontro con il Pci calabrese era stato durissimo, al punto da fargli abbandonare l'attività partitica.
«Marco - diranno poi alcuni dirigenti - era uno difficile, incapace di arrivare a compromessi di sorta. Intransigente fino all'esasperazione. Non ci poteva discutere».
Ride amaro Marco Perpiglia quell'ottobre del 1983. In una mano impugna la pistola, nell'altra il certificato di povertà. Non c'è più tempo per ricordare. Ride e guarda la vallata. Ride e pensa a quando si era rifiutato di stringere la mano ad un mafioso locale appena uscito dal carcere: «Io a quelli come te non la stringo la mano». Ride e pensa a Giuseppina. A quando la sua compagna aveva tagliato l'acqua alla moglie del comandante della caserma dei carabinieri, che si era collegata direttamente dalla fontana della piazza per avere l'acqua in casa, mentre le altre donne erano costrette a fare la fila. «Guarda che tu non sei meglio delle altre», le aveva urlato in faccia.
Una grande donna la Giuseppina. A vederla ridotta immobile in un letto ti si spezzava il cuore. Avrà le sue cure Giuseppina, Marco ne è certo, circondata dai nipoti, accudita dalla sorella. Ma lui in un letto no. Non è così che muore un cambattente. Un combattente muore quando è tempo di morire, con dignità e guardando in faccia il sole.
Ottobre è un buon mese per morire. La valle ai piedi di Roccaforte del Greco si colora dei toni dell'autunno e la brezza che si arrampica verso la montagna porta con se l'annuncio di un'inverno gelido. L'ennesimo. Ma questa volta il "compagno Pietro" ha deciso di non asptettarlo.
La storia di Marco "Pietro" Perpiglia e Giuseppina Russo è stata ricostruita dai ragazzi di "Aspromonte Liberamente", in un documentario dal titolo "La Spiga di Grano e il Sole", nell'ambito di una tappa fondamentale per un percorso di ricerca storica e culturale sull'identità e la memoria del popolo calabrese. Un lavoro che sarà presentato in anteprima nazionale il prossimo 23 aprile a La Spezia, nel contesto delle celebrazioni per il 60° anniversario della Liberazione. Il 25, in collaborazione con il comune di Cosenza, il documentario sarà riproposto al cinema Italia. Il primo maggio sarà la volta di Roccaforte del Greco e il 4 maggio a Reggio Calabria al Dopolavoro ferroviario.
Si è spesso guardato alla Resistenza come ad un fenomeno che ha interessato escusivamente le popolazioni del Centro e Nord-Italia. Un'attenta ricerca storica, condotta in sinergia con l'Istituto Calabrese per la Storia dell'Antifascismo e dell'Italia Contemporanea, ha permesso di scoprire che numerosissimi calabresi parteciparono alla lotta di liberazione, e che molti di loro, in precedenza, aderirono alle Brigate Internazionali che combattevano in Spagna per difendere la Repubblica. La vicenda di Marco e Giuseppina assume un significato emblematico per tutti quei calabresi che, in tempi diversi, hanno inteso rifiutare una condizione di perenne sottomissione e di pacata apaticità, sognando una Calabria che, a partire dalle proprie radici storiche, ricerca un recupero di un'identità e non sente lontana ed intangibile la storia del Novecento. Emblematica è la loro esperienza perché tutte le loro scelte, come pure il prezzo che pagarono, furono improntate alla causa della giustizia e della libertà.
La ricostruzione storica, che ha richiesto più di 6 mesi di ricerche, non avrebbe potuto darsi senza il contributo dei familiari e dei compagni di lotta di Marco, senza l'ausilio delle immagini dell'Archivio del Movimento Operaio e Democratico, senza i materiali forniti dall'Istituto Spezzino per la storia della Resistenza e della Storia Contemporanea e dal Museo della Resistenza Le Prade.
Un plauso va ai ragazzi e ai docenti di Aspromonte Liberamente, che sono arrivati a ricostruire ambienti e circostanze integrando i documenti alla fiction.
Piace infine ricordare la disponibilità dell'associazione Vaporiera Express, che ha rimesso in moto i treni d'epoca per consentire di fare alcune riprese.


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