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Illegittima l'ordinanza del sindaco che vieta la prostituzione in strada

Cassazione , sez. I civile, sentenza 05.10.2006 n° 21432

 

Corte di cassazione

Sezione I civile

Sentenza 5 ottobre 2006, n. 21432

 

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

R.N., con ricorso in data 1° settembre 1999, proponeva opposizione avverso l'ordinanza ingiunzione conseguente alla violazione, accertata dalla Polizia Municipale di Verona, dell'ordinanza del Sindaco di detta città n. 646/98, che vieta la contrattazione di prestazioni sessuali a pagamento a bordo di veicoli circolanti sulla pubblica via; deduceva l'opponente: a) "l'intenzione di offrire soltanto un passaggio sulla propria autovettura ad una donna che l'aveva richiesto con il consueto segnale di autostop e l'essersi fermato senza recare né intralcio né pericolo per la circolazione stradale; b) l'invalidità dell'ordinanza 646/98 del Sindaco di Verona, sulla quale si fonda la sanzione amministrativa comminata, per non avere il Sindaco di Verona alcun legittimo potere di regolamentare con proprio atto la circolazione stradale in modo difforme da quanto stabilito con legge dello stato; c) l'invalidità dell'ordinanza n. 646/98 per eccesso di potere, e la conseguente disapplicabilità della stessa da parte del Giudice ordinario in base all'art. 4 della l. 20 marzo 1865, n. 2248, allegato E; d) l'inapplicabilità dell'art. 7 del decreto legislativo n. 285/1992 in quanto la c.d. strada bresciana sulla quale veniva contestata la trasgressione si trova al di fuori del centro abitato del Comune di Verona; e) l'inadempimento da parte dell'amministrazione del proprio onere probatorio".

L'adito Tribunale di Verona, in composizione monocratica, con la sentenza in esame, accoglieva l'opposizione; si affermava da parte di detto Giudice l'illegittimità dell'ordinanza n. 646/98 (con conseguente nullità del verbale di accertamento) per eccesso di potere in quanto l'ambito di esercizio del potere di cui all'art. 7 del codice della strada è quello della regolamentazione della circolazione stradale (in particolare si afferma che "si ritiene illegittima detta ordinanza allorquando vieta la fermata del veicolo al fine di contrattare prestazioni sessuali, e non al fine di non arrecare intralcio alla circolazione stradale").

Ricorre per cassazione con un unico articolato motivo il Comune di Verona; non ha svolto attività difensiva l'intimato.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con l'unico motivo di ricorso si deduce violazione degli artt. 5, 6 e 7 d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285, anche in relazione agli artt. 4 e 5 della l. 20 marzo 1865, n. 2248, allegato E; insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia; violazione degli artt. 2697, 2699 e 2700 c.c.

Si afferma che l'ordinanza in questione risponde al fine delle "misure preordinate ad una maggiore sicurezza stradale nonché ad un ordinario utilizzo del demanio stradale", di cui all'art. 7 c.d.s., e che detta ordinanza fa riferimento all'attività di meretricio solo perché tale rilevante fenomeno costituisce causa di intralcio al regolare flusso veicolare.

Il ricorso è infondato e non merita accoglimento.

In tema di sanzioni amministrative per violazioni del codice della strada, l'art. 7, primo comma, lett. a) (che richiama i provvedimenti indicati nell'art. 6 c.d.s.) prevede che, nei centri abitati, i Comuni possono, con ordinanza del Sindaco, regolamentare la circolazione per motivi inerenti la sicurezza di quest'ultima, oltre che per altre esigenze (tra cui la sicurezza pubblica e la salute pubblica).

Nel caso in esame, sulla base di tale richiamo normativo (oltre che dell'art. 36 della l. n. 142/1990 e della l. n. 689/1981), il Sindaco di Verona, con l'ordinanza n. 646 del 28 agosto 1998 ha, in relazione al seguente oggetto: "Misure preordinate ad una maggiore sicurezza stradale nonché ad un ordinario utilizzo del demanio stradale. Divieti riguardanti la domanda e l'offerta di prestazioni sessuali a pagamento svolte sul suolo pubblico", stabilito che "in tutto il territorio comunale è fatto divieto a chiunque di contrattare prestazioni sessuali a pagamento a bordo di veicoli circolanti sulla pubblica via. La violazione si concretizza nella fermata del veicolo, al fine di richiedere informazioni, ovvero contrattare, ovvero concordare prestazioni sessuali a pagamento con soggetti che esercitano l'attività di meretricio su strada...", nonché "in tutto il territorio comunale è fatto divieto di indossare un abbigliamento indecoroso e indecente, ovvero di mostrare nudità; detto divieto, oltre che motivato dall'esigenza di tutelare il decoro e la decenza, trova applicazione per coloro che esercitano la prostituzione...", nonché ancora "in tutto il territorio comunale è fatto divieto a chiunque di soddisfare, in spazi ed aree pubbliche, bisogni corporali..."

Sulla base di quanto esposto risultano in modo ampiamente evidente vizi di legittimità di detta ordinanza, così come puntualmente rilevato dal Tribunale di Verona, sulla base del consentito esame al giudice ordinario, incidenter tantum, dei provvedimenti amministrativi in virtù degli artt. 4 e 5 della l. 20 marzo 1865 n. 2248, allegato E, e del connesso potere di disapplicazione da parte di detto giudice di provvedimenti e atti amministrativi risultanti non conformi alla legge.

In detta ordinanza, correttamente ritenuta illegittima in sede di merito e disapplicata, si rileva il vizio di eccesso di potere, avendo il Sindaco, sulla base delle facoltà riconosciutegli dalla soprarichiamata normativa del codice della strada, emesso un provvedimento riguardante, invece, l'ordine pubblico; in particolare, ha fatto ricorso ad un provvedimento apparentemente finalizzato alla regolamentazione della circolazione stradale di autoveicoli, per vietare il meretricio sessuale, con estensione, e tale aspetto è ancor più decisivo, in modo indiscriminato su tutto il territorio del Comune; ciò conferma che con detto provvedimento non si è affatto voluto imporre il divieto di fermata agli autoveicoli in relazione alle esigenze di tutela di un determinata strada o di una determinata zona (così come "impone" il tenore letterale degli artt. 6 e 7 c.d.s. e come emerge dalla relativa ratio legis) ma si è voluto sanzionare, in modo illegittimo per le ragioni esposte, l'attività riguardante le prestazioni sessuali a pagamento in genere e, in modo indiscriminato, su tutto il territorio comunale.

Il mancato svolgimento di attività difensiva da parte dell'intimato comporta il non doversi provvedere in ordine alle spese della seguente fase.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

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