Giornale Giuridico - Leggi normative sentenze corti fisco tributi lavoro previdenza stradale imprese famiglia societá istituzioni
IN EVIDENZA

Termine di prosecuzione delle indagini preliminari e procedimenti contro ignoti

Cassazione , SS.UU. penali, sentenza 28.03.2006 n° 13040

 

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE PENALI

(Presidente N. Marvulli, Relatore A. Cortese)

Sentenza n. 13040 del 28 marzo 2006 - depositata il 12 aprile 2006

FATTO

Nel corso del procedimento n. 65/04 R.G.N.R. a carico di persone ignote la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Lamezia Terme chiedeva al G.I.P dello stesso Tribunale l’autorizzazione a proseguire le indagini preliminari. Con decreto in data 1° luglio 2004 il G.I.P. autorizzava tale prosecuzione per il termine di mesi sei.

Avverso tale decreto proponeva ricorso per cassazione il P.M., limitatamente alla parte in cui il G.I.P., anziché autorizzare “sine die” la prosecuzione delle indagini, aveva fissato un termine di sei mesi, in analogia a quanto previsto per il caso di presentazione di richiesta di proroga dei termini delle indagini preliminari a carico di persone note, iscritte nel registro di cui all’art. 335 c.p.p. Secondo il P.M. ricorrente l’ordinanza rivestiva i caratteri dell’abnormità, in quanto adottata in violazione delle norme processuali e, in particolare, della disciplina contenuta nell’art. 415 c.p.p.

Il P.M. rilevava che con l’apposizione del termine il G.I.P., disattendendo l’orientamento che opta per l’inapplicabilità alle indagini contro ignoti del disposto di cui al comma 2 bis dell’art. 406 c.p.p., aveva ritenuto estensibile a tali indagini, in forza del richiamo di cui al comma 3 dell’art. 415 c.p.p., la disciplina in tema di durata massima delle indagini preliminari prevista per il procedimento a carico di persone note.

A sostegno dell’impugnazione, sottolineava che la fissazione di un termine per la proroga delle indagini e la previsione di un termine massimo per la loro conclusione rispondono unicamente all’esigenza di evitare che una persona fisica iscritta nel registro di cui all’art. 335 c.p.p. sia esposta a una protrazione indefinita delle investigazioni a suo carico.

Nell’ipotesi in cui tale esigenza di tutela non sussiste, come appunto nel caso di procedimento a carico di persone ignote (nel quale fra l’altro la ricerca dell’identità della persona ipoteticamente responsabile dei reati per cui si procede può talora protrarsi per tempi assai lunghi), non troverebbe alcuna giustificazione la fissazione di un termine. Non potrebbe al riguardo invocarsi neppure la necessità di evitare che l’ufficio inquirente, pur avendo gli elementi per procedere ad una iscrizione ai sensi dell’art. 335 c.p.p., lasci il procedimento penale iscritto nel modello 44 al fine di aggirare i termini di durata delle indagini preliminari. A prescindere infatti dalle conseguenze disciplinari ipotizzabili per un simile comportamento e dalla possibilità per l’interessato di eccepire la eventuale violazione dei suoi diritti di difesa, il pericolo evocato resterebbe escluso dal controllo spettante al G.I.P., che, nell’atto di venire a conoscenza del procedimento, può ordinare, ravvisandone i presupposti, l’immediata iscrizione del nome dell’indagato nel registro generale delle notizie di reato.

Secondo il P.M., inoltre, la tesi sottesa al provvedimento del G.I.P. porterebbe all’aberrante conseguenza di ritenere applicabile nel procedimento a carico di ignoti sia la previsione contenuta nel comma 3 dell’art. 406 c.p.p., sia quella di cui all’art. 414 c.p.p.

Gli esposti rilievi conducono il P.M. ricorrente a sostenere che il decreto adottato dal G.I.P.. deve essere considerato abnorme, in quanto si sostanzia in una decisione che per la sua singolarità e atipicità si pone al di fuori dell’intero sistema processuale.

La VI sezione penale della Corte di cassazione investita dell’esame del ricorso, dopo aver ricostruito la posizione della dottrina, da sempre largamente favorevole all’applicabilità di limiti temporali per le indagini anche nelle ipotesi di procedimento contro ignoti, ha evidenziato come nella giurisprudenza di legittimità, orientata, fino alla modifica della disciplina dell’art. 415 c.p.p. introdotta con l’art. 16 della legge 16 dicembre 1999, n. 479, in senso contrario alla fissabilità di un termine per la prosecuzione delle indagini a carico di ignoti, sia emerso, dopo la detta novellazione legislativa, un indirizzo teso ad assimilare, sotto il profilo delle garanzie di snellezza, trasparenza e celerità, il procedimento contro ignoti a quello contro noti, con estensione, in particolare, al primo, nei limiti di oggettiva compatibilità, delle previsioni di cui agli artt. 406 (ivi compreso il disposto, che interessa specificamente il presente procedimento, di cui al comma 2 bis) e 407 c.p.p.

In considerazione di ciò, la sesta sezione penale ha deciso di trasmettere il ricorso alle Sezioni unite.

DIRITTO

 

La questione concernente la legittimità, o non, del decreto con cui il G.I.P., nell'autorizzare il P.M. a proseguire le indagini in un procedimento a carico di ignoti, apponga un termine per il loro svolgimento, è stata affrontata più volte dalla Corte di cassazione, che, prima della modifica normativa relativa all’art. 415 c.p.p., introdotta dalla legge 16 dicembre 1999, n. 479, pur dividendosi sulle conseguenze derivanti da tale apposizione - talora ravvisate nell’abnormità, e correlativa impugnabilità, dell’atto (sez. VI, 24 novembre 1992, dep. 14 aprile 1993, n. 4162, P.M. in proc. ignoti; sez. fer. 18 dicembre 1992, dep. 18 marzo 1993, n. 1576, P.M. in proc. ignoti) e, più spesso, sul presupposto dell’inoppugnabilità del medesimo (su cui v. sez. I, 24 settembre 1992, dep. 23 novembre 1992, n. 3542, P.M. in proc. ignoti; sez. VI, 23 luglio 1992, n. 2978, P.M. in proc. ignoti), ricondotte nell’alveo di sanzioni interne al procedimento (sez. VI, 4 dicembre 1992, dep. 3 febbraio 1993, n. 4331, P.M. in proc. ignoti; sez. VI, 23 aprile 1993, dep. 25 agosto 1993, n. 1139, P.M. in proc. ignoti; sez. VI, 14 giugno 1993, dep. 24 settembre 1993, n. 1811, P.M. in proc. ignoti) - ne riteneva concordemente l’illegittimità, escludendo (in contrasto con la dominante dottrina) che dopo la scadenza del primo termine di sei mesi, imposto al p.m. per decidere della sorte del procedimento, le indagini di cui fosse stata autorizzata la prosecuzione potessero essere sottoposte a qualsiasi limite cronologico. Veniva al riguardo sottolineata la peculiarità delle investigazioni inerenti a un reato privo di elementi soggettivamente indizianti, in ordine alle quali il p.m. era solo tenuto, nel termine previsto dall’art. 415, comma 1 c.p.p., a decidere (in mancanza della raggiunta identificazione del presunto responsabile) se continuare ulteriormente le investigazioni o chiedere l’archiviazione, in quanto, mancando un soggetto indagato, portatore di uno specifico interesse alla sollecita chiusura dell’attività d’indagine, non poteva trovare spazio l’articolata disciplina dei termini di cui agli artt. 405, 406 e 407 c.p.p. (sez. IV, 18 dicembre 1992, dep.18 marzo 1993, n. 1576, P.M. in proc. ignoti).

Con l’entrata in vigore del nuovo testo dell’art. 415 c.p.p., nel quale è espressamente previsto (al comma 3) che nel procedimento contro ignoti si “osservano in quanto applicabili” tutte le disposizioni del titolo VIII del libro V (relative alla chiusura delle indagini preliminari), si è manifestato in giurisprudenza (sez. VI, 12 dicembre 2002, dep. 14 gennaio 2003, n. 2997, P.M. in proc. ignoti; sez. V, 22 aprile 2005, dep. 28 luglio 2005, n. 28700, P.M. in proc. ignoti) l’orientamento di estendere le garanzie di snellezza, trasparenza e celerità caratterizzanti il procedimento contro persone note alla conduzione delle investigazioni a carico di ignoti, con conseguente applicabilità anche a queste ultime della disciplina di cui agli artt. 406 - ivi compreso, per quanto qui interessa, il disposto di cui al comma 2 bis - e 407 c.p.p., fatte salve, ovviamente, le disposizioni oggettivamente incompatibili, come ad es. quelle dei commi 3 e 5 dell’art. 406.

Persiste peraltro un diverso indirizzo giurisprudenziale (sez. IV, 12 ottobre 2004, dep. 15 dicembre 2004, n. 48158, P.M. in proc. contro ignoti; sez. IV, 4 maggio 2005, dep. 19 agosto 2005, n. 31355, P.M. in proc. contro ignoti), il quale, pur dopo la modifica normativa introdotta con la legge 16 dicembre 1999, n. 479, ritiene illegittima l’apposizione del termine nell’ipotesi di richiesta di proroga delle indagini a carico di persone ignote, ritenendo inapplicabili a tali indagini le disposizioni di cui agli artt. 406 e 407 c.p.p., intese come dirette a garantire solo la persona già individuata.

Ad avviso del Collegio è senz’altro da condividere l’indirizzo “estensivo”, sopra enunciato.

In suo favore milita anzitutto la testuale previsione del comma terzo del novellato art. 415 c.p.p., che denota, all’evidenza, la scelta di voler assimilare, fino al limite della compatibilità, la disciplina (della chiusura) delle indagini contro ignoti a quella prevista per le indagini contro noti.

Che il rinvio operato dalla norma de qua debba intendersi in questo senso e che, in particolare, ricomprenda l’intero regime sui termini delle indagini (eccezion fatta per le sole norme che presuppongono indeffettibilmente la già avvenuta individuazione della persona indagata, fra le quali non rientra, per come risulterà chiaro più avanti, quella di cui al comma 2 bis dell’art. 406 c.p.p.), è confermato in modo decisivo dai lavori parlamentari (già efficacemente richiamati da sez. VI, 12 dicembre 2002, dep. 14 gennaio 2003, n. 2997, P.M. in proc. ignoti) riguardanti la modifica della normativa in discorso e dal nesso che lega tale modifica ai principi espressi dalla Corte costituzionale in ordine all’istituto dell’archiviazione.

Dagli atti relativi alla seduta del 30 settembre 1999 dell’Assemblea del Senato risulta, invero, che l’originaria norma contenuta nel corpo dell’art. 415, primo comma, che imponeva ancora di osservare “in quanto applicabili le disposizioni degli artt. 405, 406 e 407”, venne modificata dall’accoglimento di una proposta emendativa del Relatore Pinto, che sopprimeva il riferimento agli artt. 405, 406, 407 e inseriva nell’articolo 415 un comma 2 bis (poi divenuto comma 3), prescrivente l’osservanza, in quanto applicabili, di tutte le “altre disposizioni di cui al presente titolo”: proposta emendativa che – come risulta dall’intervento dello stesso Relatore –, lungi dallo scaturire da dubbi in senso restrittivo circa l’applicabilità degli artt. 405, 406 e 407 al procedimento contro ignoti, aveva invece lo scopo di “evitare che il solo riferimento” ai detti articoli potesse “escludere l’applicabilità delle altre disposizioni relative alla fase del procedimento, di cui al titolo VIII dell’intero libro V”, in favore della quale, con riferimento all’art. 409, comma 4, aveva avuto modo di pronunciarsi la “Corte costituzionale con la sentenza n. 409 del 1990”.

Da tanto emerge con chiarezza che il legislatore del 1999 ha inteso operare un riassetto in senso unitario del regime giuridico dei due tipi di indagine, contro noti e contro ignoti, estendendo al secondo procedimento tutte le norme regolatrici del primo che non siano con esso incompatibili e ampliando corrispondentemente l’area d’intervento del giudice.

Con tale scelta si è realizzato, come già accennato sopra, l’adeguamento della normativa sulle indagini contro ignoti ai principi espressi dalla Corte costituzionale in ordine all’archiviazione, vista come un istituto diretto sì a evitare la celebrazione di un processo superfluo, ma nel rigoroso rispetto della regola, imposta dallo stesso principio di uguaglianza, dell’obbligatorietà dell’azione penale, implicante che il controllo di legalità effettuato dal giudice, a cui nulla deve essere sottratto, riguardi pienamente anche la “legalità dell’inazione” (sent. 28 gennaio-15 febbraio 1991, n. 88).

Corollario di tale affermazione è che non possono darsi differenze “qualitative” di un siffatto potere di controllo a seconda dei casi di archiviazione che il codice contempla, in quanto “è proprio la finalità che accomuna le varie ipotesi di archiviazione a giustificare l’estensione della disciplina prevista per, l’ipotesi base (archiviazione per infondatezza della notizia di reato) anche alle restanti ipotesi” (sent. 22-30 dicembre 1993, n. 478) e, tra queste, a quella di cui all’art. 415 c.p.p. (archiviazione perché ignoto l’autore del reato), presa specificamente in esame dal giudice delle leggi nella sentenza 12-31 luglio 1990, n. 409. Con tale pronuncia, richiamata nel succitato intervento del relatore Pinto e a cui si rifecero numerose ordinanze successive (ord. 15-26 ottobre 1990, n. 499; ord. 12-28 dicembre 1990, n. 567; ord. 18-29 marzo 1991, n. 137; ord. 8-12 aprile 1991, n. 151), si rilevava - a sostegno della declaratoria di infondatezza di una eccezione di legittimità costituzionale sollevata sul presupposto che l'art. 409, comma 4 c.p.p. non avrebbe potuto trovare applicazione nel procedimento di archiviazione per essere ignoto l’autore del reato - che l’essersi il legislatore astenuto dall’operare per l’ipotesi di archiviazione prevista dall’art. 415 c.p.p. un rinvio globale alle disposizioni degli artt. 408, 409 e 410 c.p.p., non comportava di per sé che l’art. 409, comma 4, non dovesse trovare applicazione in sede di art. 415 c.p.p., in quanto “la finalità che accomuna tutte le varie ipotesi di archiviazione giustifica l’estensione, dall’ipotesi base (archiviazione per infondatezza della notizia di reato) all’ipotesi dell’art. 415 (archiviazione perché ignoto l’autore del reato) di ciò che risulta compatibile con quest’ultima”.

Nel sistema così delineato, l’assoggettamento delle indagini a limiti cronologici, nel contesto di uno stretto e penetrante controllo da parte del giudice, risulta evidentemente funzionale non solo al contenimento in un lasso di tempo predeterminato della condizione di chi a dette indagini sia individualmente sottoposto, ma anche all’efficace contrasto di un’eventuale inerzia del p.m., al fine dell’effettivo rispetto del canone di obbligatorietà dell’azione penale.

Nel nuovo quadro normativo, realizzato con la modifica del ’99, che, in consonanza con i principi enunciati dal giudice delle leggi, ha esteso in via generale il regime (della chiusura) delle indagini contro noti al procedimento contro ignoti, la compatibilità della fissazione di un termine massimo di sei mesi per la proroga delle indagini contro noti, prevista dal comma 2 bis dell’art. 406 c.p.p., con il provvedimento autorizzativo di prosecuzione delle indagini contro ignoti, si collega dunque linearmente (in una all’applicazione dei termini di durata di cui all’art. 407 c.p.p.) alla specifica esigenza di assicurare anche nel procedimento di cui all’art. 415 c.p.p. una corretta celerità dell’attività inquirente: esigenza strumentale al ricordato obiettivo di contrasto all’eventuale inerzia del p.m., ma anche – è doveroso aggiungere - alla finalità, parimenti perseguita dalla disciplina sui termini (come correttamente osservato in dottrina), di evitare che l’istruzione dibattimentale (cardine del nuovo modello accusatorio del processo penale) venga a svolgersi, con possibile compromissione della sua efficacia, a una eccessiva distanza temporale dai fatti oggetto d’indagine.

Nessun conflitto può determinarsi (come parrebbe adombrare il P.M. ricorrente) fra la disposizione (risultante dal coordinamento del comma 3 dell’art. 415 c.p.p. e) del comma 2 bis dell’art. 406 c.p.p. e quella contemplante l’ordine di iscrizione di cui al comma 2 dell’art. 415. Entrambe, infatti (come è stato esattamente rilevato dalla cit. Cass. sez. V, 22 aprile 2005, dep. 28 luglio 2005, n. 28700, P.M. in proc. ignoti), convergono, senza rischi di conflitto, verso l’obiettivo di garantire la più sollecita e corretta definizione della fase investigativa, consentendo, la prima, un reale controllo del giudice in ordine alla eventuale inerzia e approssimazione del pubblico ministero nella trattazione del procedimento che prosegue a carico di “ignoti”, e impedendo, la seconda, che il procedimento resti indebitamente contro ignoti.

La compatibilità della previsione normativa di cui al comma 2 bis dell’art. 406 con l’ipotesi di richiesta di proroga delle indagini a carico di persona ignota non è poi in alcun modo smentita dall’inapplicabilità della disciplina prevista dal comma 3 dello stesso articolo nella parte in cui prevede l’obbligo di comunicare la richiesta di proroga alla persona sottoposta alle indagini. Tale inapplicabilità, infatti, trova (come quella di cui al comma 5 dello stesso articolo, relativa alla notificazione dell’avviso della data dell’udienza in camera di consiglio, sempre alla persona sottoposta alle indagini, nella ipotesi in cui la proroga richiesta non sia stata concessa) la sua specifica e autonoma ragione nell’oggettiva impraticabilità degli adempimenti che hanno come diretta destinataria la persona indagata, e non rifluisce, neppure in via mediata, sulle ragioni che sono alla base della delimitazione temporale della proroga del termine.

Analogamente, non interferisce con tali ragioni la soluzione negativa che deve continuare a darsi (in conformità con la dominante giurisprudenza: v. sez. I, 20 aprile 2004, dep. 25 maggio 2004, n. 23975, Molinari; sez. I, 16 giugno 2005, dep.19 luglio 2005, n. 26793, Giampà; sez. IV, 4 maggio 2005, dep. 19 agosto 2005, , n. 31355, P.M. in proc. ignoti; sez. V, 26 maggio 2004, dep. 16 luglio 2004, n. 31404, Madonna; sez. I, 11 febbraio 2003, dep. 30 aprile 2003, Carelli e altri; sez. I, 3 marzo 2003, dep. 13 marzo 2003, Bidognetti; sez. I, 25 marzo 2002, dep. 10 maggio 2002, Perna; in senso contrario v. sez. V, 12 novembre 2003, dep. 15 dicembre 2003, n. 37739, Arena) al quesito relativo all’applicabilità, dopo il provvedimento di archiviazione delle indagini per essere ignoti gli autori del reato, della disposizione di cui all’art. 414 c.p.p., che impone un provvedimento formale di riapertura da parte del giudice: provvedimento che, invero, in tanto si giustifica in quanto, e solo in quanto, deve assolvere alla funzione di garanzia di un soggetto già indagato.

Discende da quanto sopra che il provvedimento impugnato, di per sé inoppugnabile, lungi dall’essere abnorme, è perfettamente legittimo, siccome conforme al disposto di cui al comma 2 bis dell’art. 406 c.p.p., applicabile, in forza della norma di rinvio di cui al comma 3 dell’art. 415 c.p.p., anche nel procedimento contro ignoti.

Il proposto ricorso deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile.

 

PER QUESTI MOTIVI

Visto l’art. 615 c.p.p.,

dichiara inammissibile il ricorso.

TORNA AL GIORNALE GIURIDICO

TORNA IN ALTO PAGINA

©-2004-2008 megghy.com-Tutti i diritti sono riservati