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Omicidio preterintezionale: è unico l'elemento psicologico

Cassazione , sez. V penale, sentenza 08.03.2006 n° 13673

 

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

Sezione V Penale

Sentenza 14 aprile 2006, n. 13673

(Presidente B. Foscarini, Relatore M. Rotella)

premesso

I - La Corte di Assise di Appello di Milano ha confermato la condanna inflitta ad H. A. A. dal GUP di Milano, con generiche e diminuente di rito, ad a. 4 e m. 6 di reclusione, ai sensi dell'art. 584 CP, per avere cagionato il 4.5.99 la morte di E. D. per tromboembolia polmonare massiva da frattura pelvica (sx), colpendola ripetu­tamente con schiaffi e calci in data 28.4.99.

La sentenza ricostruisce che il 28 aprile, secondo le testimonianze acquisite, l'imputa­ta, vista la E. seduta per via su una panchina con tre amiche, si avvicinava sorriden­do e, datole improvvisamente uno schiaffo, l'afferrava per i capelli e la strattonava più vol­te. Nel "parapiglia" seguito, per l'intervento delle altre donne, l'offesa cadeva in terra e la H. continuava a colpirla a calci, tra l'altro uno alla parte destra dell'inguine. Il movente di questo suo comportamento era dovuto all'insulto, che sosteneva di aver subito dall'E., per non aver provveduto a restituirle la somma prestatale di lire 220.000.

Alla E., trasportata in ospedale, veniva riscontrato tra l'altro il trauma di cui im­putazione, che le immobilizzava l'arto inferiore sinistro. Dimessa, con prognosi di gg. 30 -35, era trovata morta in casa 6 giorni dopo. Il C.T. in sede di autopsia, presente quello per l'imputata, concludeva per il nesso causale dell'embolia mortale con il trauma pelvico.

II perito, di seguito nominato dal GIP, confermava.

Con l'atto di appello la difesa contestava l'assenza di prova che la E. fosse stata spinta in terra dall'imputata, e che la formazione trombotica, cui si rapporta il decesso, fosse dovuta al trauma fratturativo. La sentenza ha risposto che la E. è caduta a ter­ra, a seguito della colluttazione originata dalla H., che continuato a colpirla tra l'altro con un calcio, che ha cagionato la frattura da cui è scaturito l'evento. Ha aggiunto che non era necessaria la previsione dell'evento, altrimenti rilevante ai sensi dell'art. 61 n.3 CP.

Il ricorso denuncia: 1° - vizio di motivazione sul nesso causale, il trauma alla branca ileo - pubica sx è derivato dalla caduta, non dal calcio, che concerne la parte destra del­l'inguine, e dunque vi è travisamento della prova decisiva; 2° - mancata pronuncia di sen­tenza a norma dell'art. 129 CPP, posto che il più grave evento non era prevedibile, e per la configurazione del reato secondo dottrina e giurisprudenza prevalenti è necessario il dolo misto a colpa, nonostante taluna decisione di segno contrario; e solleva: 3° - questione di illegittimità dell'art. 584 CP ai sensi dell'art. 27 Costituzione, se la norma è intesa nel senso di implicare attribuzione dell'evento più grave a titolo di responsabilità obiettiva.

ritenuto

1 - Il 2° e 3° motivo concernono la premessa normativa, e sono infondati.

1.1 - Il delitto di cui all'art. 584 CP ha un titolo proprio ed esclusivo di responsabilità.

L'art. 42 CP, fondando la regola dì responsabilità nel dolo, prevede quali eccezioni il delitto preterintenzionale e colposo. E infine afferma che la legge determina i casi in cui l'evento è posto altrimenti a carico dell'agente come conseguenza della sua condotta.

Va perciò escluso che l'omicidio preterintenzionale sia punibile a titolo di dolo e re­sponsabilità obiettiva insieme. Si era ritenuto che lo fosse per dolo misto a colpa (cfr. Cass., Sez. V n. 10994/1981, rv. 151265; 9294/83 - 161038; 4836/85 - 169259; 2634/93 - 194325). Ma questa Corte (Sez. V, n. 13114/02, P.G. in proc. Izzo, rv. 222054), giusta lettera della norma incriminatrice, afferma che l'elemento psicologico dell'omicidio preterin­tenzionale è costituito unicamente dalla volontà di infliggere percosse o provocare lesioni.

Per intendere la ratio normativa, va innanzitutto osservato che l'art. 43 costruisce l'e­lemento psicologico quale causalità morale, in parallelo a quella materiale (art. 40), fondandola sul rapporto tra intenzione, costituita da volontà e previsione del risultato della condotta, ed evento conseguente alla stessa condotta. Definendo il delitto doloso 'secondo l'intenzione', l'articolo pone la regola di responsabilità nella corrispondenza dell'evento, da cui dipende l'esistenza del reato, all'intenzione di risultato. La corrispondenza permane nel delitto preterintenzionale, nel quale è superata solo dalla maggior gravità dell'evento.

La corrispondenza è invece esclusa nel delitto colposo nel quale l'evento, seppure preveduto, è in contrasto con il risultato intenzionale. Ed è per questa ragione che l'art. 43 detta quali parametri di causalità morale (? quando l'evento... si verifica a causa di...") la negligenza, l'imprudenza, l'imperizia o l'inosservanza di norme da parte dell'agente.

Ciascun parametro si rapporta alla categoria logica di prevedibilità dell'evento da cui dipende l'esistenza del reato, come conseguenza della condotta, e serve a dimostrare su­perabile dall'agente l'inconsapevolezza dell'esigenza di diverso comportamento. Tanto ba­sta. Perciò, se nel delitto colposo si agisce nonostante la previsione dell'evento, l'art. 61 n.3 CP prevede un'aggravante: la possibilità cognitiva è superata dalla consapevolezza.

La tassativa limitazione dell'aggravante al delitto colposo conferma che la previsione dell'evento da cui dipende l'esistenza del reato è componente necessaria e non circostan­ziale nel delitto preterintenzionale, come in quello doloso. Il sistema dunque significa che quanto al delitto preterintenzionale, la disposizione dell'art. 43 assorbe la prevedibilità di evento più grave nell'intenzione di risultato, per il quale i parametri di negligenza, impru­denza o imperizia, men che d'inosservanza di norme sono assolutamente irrilevanti.

E' per esempio incontroverso che l'essere l'agente privo di conoscenze mediche, tali da consentirgli di prevedere l'evoluzione nell'evento morte del risultato lesivo intenzionale, non pone questione di imperizia, pur a fronte di complessa ricostruzione medico - legale del nesso causale. La ragione evidente è che chi agisce con dolo di delitto di percosse o lesioni per definizione può prevedere l'evento più grave del risultato voluto, indipendente­mente dai parametri che servono a qualificare la colpa. Il rischio del verificarsi della morte ' è implicito nell'offesa dell'incolumità personale, tant'è che se l'agente prevede l'evento morte, il delitto è secondo l'intenzione, e va qualificato omicidio volontario.

Difatti, come si è premesso, la piena corrispondenza dell'intenzione, intesa previsione e volontà di risultato, all'evento conseguito alla condotta, integra dolo generico del delitto di cui all'art. 575 CP. E, secondo diritto vivente, è irrilevante che alla previsione dell'evento si associ l'opzione di risultato meno grave perché, agendo, si vuole anche quello più grave, secondo causalità naturale della propria condotta (dolo eventuale o indiretto). Tanto, pa­radossalmente, riconosce proprio la giurisprudenza del doppio elemento psicologico.

L'errore ermeneutico è dunque dovuto al travisamento della categoria (idea) di pre­vedibilità, per la colpa (concetto), che è una specie del genere elemento psicologico. Ma se la prevedibilità va codificata in un carattere (negligenza, imprudenza, etc.) necessario del delitto colposo, perché l'evento si verifica contro l'intenzione, questa necessità non esi­ste nel delitto preterintenzionale, a fronte dell'intenzione del risultato della condotta.

1.2 - A riprova strutturale, l'elemento psicologico dell'omicidio preterintenzionale è unico, perché ad esso corrisponde un solo evento, da cui dipende l'esistenza del reato.

Tanto trova conferma, oltre che nella lettera della norma incriminatrice in rapporto al dettato dell'art. 15 CP, nelle norme sul concorso di reati. Si ritorni alla lettera delle norma.

Secondo l'art. 584 CP, la condotta consiste in atti diretti a commettere taluno dei delitti di cui agli arti. 581 o 582, mentre l'evento cagionato, da cui dipende l'esistenza del de­litto, è la morte. Per diritto vivente (giurisprudenza costante da Cass. 13.10.64, Viti in CPMA 65,488 e v. Sez. V, 4793/88, CED rv. 178180) la lettera significa sufficiente il tenta­tivo di percosse, men che di lesione, per la punibilità a titolo di omicidio preterintenzionale (se per es. ad un atto aggressivo, che non attinga il corpo dell'offeso, segua un infarto).

Orbene, se l'agente ha voluto un evento minore omogeneo, quale conseguenza della condotta ai sensi dell'art. 581 o 582, la progressività del delitto di cui all'art. 584 implica, giusta la regola dell'art. 15 CP, assorbimento del delitto sussidiario di cui all'art. 581 o 582.

Proprio il riferimento all'art. 586 CP, la cui disposizione parallela è tratta a conforto dalla teoria del "doppio elemento psicologico", lo conferma. L'art. 586 disciplina un delitto "contro l'intenzione", perché l'evento mortale, o anche solo lesivo si badi (e v. oltre, dove si osserva perché non è previsto anche il delitto di lesione preterintenzionale), è conse­guenza non voluta di un delitto doloso non sussidiario.

La disposizione si fonda dunque, al contrario di quella di cui all'art. 584, sulla diso­mogeneità dell'evento lesivo o mortale, rispetto al risultato prefigurato e voluto dall'agen­te, tant'è che rinvia all'art. 83, che disciplina l'aberrazione e a sua volta stabilisce bensì che l'agente risponda a titolo di colpa del delitto qualificato dall'evento diverso, quando il fatto è preveduto come delitto colposo, ma conferma il concorso di reati, se l'agente ha cagionato anche l'evento voluto. L'art. 586, dunque, non si rifa alla regola dell'art. 15, ma a quella del concorso di reati, perché i due eventi eterogenei, ovvero rapportabili a norme che disciplinano diversa materia, implicano ciascuno un proprio elemento psicologico.

Viceversa l'art. 584 non richiede un ulteriore elemento psicologico oltre il dolo di de­litto sussidiario, perché l'evento da cui dipende l'esistenza del reato progressivo è unico.

1.3 - Per concludere sul perché la prevedibilità non assurge a carattere distinto del­l'omicidio preterintenzionale, è necessario verificare il rapporto con la realtà fenomenica.

Orbene, si è visto, l'esperienza dimostra che // rischio di evento omogeneo più grave è insito nel danno o pericolo che si arreca alla persona fisica. E nel sistema l'interesse primario, che accomuna i beni essenziali della persona, è complessivamente tutelato in ra­gione dell'idea (categoria) di inevitabilità dell'evento più grave, conseguente al processo naturale attivato con la condotta umana. Si tratta della stessa idea per cui la legge afferma in via generale che la causalità umana non è esclusa da cause concorrenti precedenti, si­multanee o sopravvenute, indipendenti dall'azione (art. 41).

Su questa premessa si rifletta innanzitutto sul perché la legge non prevede il delitto di lesione preterintenzionale: il delitto di percosse e quello di lesione concernono oltre che lo stesso interesse, lo stesso bene 'incolumità'. Perciò se, percuotendo una persona, dalla condotta scaturisce un processo morboso (per es. da trauma), il delitto va qualificato ai sensi dell'art. 582 CP e, in ipotesi di maggior gravità, progressivamente aggravato ai sensi dell'art. 583. La ratio di questa disciplina è incontestata sul piano obiettivo e psicologico.

Ma la vita, che si rapporta bensì allo stesso interesse, costituisce quel bene diverso ed omogeneo, sulla cui tutela s'incentra tutto il sistema penale. E, fermo che se si usa vio­lenza fisica alla persona per cagionare sofferenza o malattia, non si è per definizione in grado di potere escludere che cause indipendenti dalla condotta, seppure ignote al mo mento di agire, possano concorrere a cagionare la morte, è evidente perché il sistema, per sorreggere la disciplina dell'unica ipotesi di delitto preterintenzionale di cui all'art. 584 CP, disciplina una specie autonoma di responsabilità morale nell'art. 43.

E' questa la ragione per cui, in caso di omicidio preterintenzionale, il giudice non deve verificare se l'evento morte fosse prevedibile secondo un parametro legale, dettato per la colpa, ma solo se l'agente ha agito con il dolo di cui all'art. 581 o 582 CP.

La prevedibilità dell'evento più grave è assorbita nell'intenzione di risultato del delitto contro la persona fìsica, mentre la speculazione teorica del doppio elemento psicologico, pone la disciplina normativa fuori della realtà.

1.4 - E' pertanto singolare che la motivazione della sentenza impugnata concluda che la previsione dell'evento non è necessaria, altrimenti nella specie sarebbe stata contestata raggravante di cui all'art. 61 n.3 CP, esclusa in concreto. In tal modo travisa che l'aggra­vante si applica solo ai delitti colposi, e non può essere applicata all'omicidio preterinten­zionale, ed autorizza l'argomentazione infondata del ricorso.

All'evidenza era sufficiente la risposta già resa che la H. aveva di certo voluto of­fendere l'incolumità personale della E., per dimostrare corretta l'inferenza della sua responsabilità a titolo di omicidio preterintenzionale per la morte cagionata.

2 - Il ricorso è infine giunto a contestare l'illegittimità dell'art. 584 CP, in rapporto al- ' l'art. 27 Costituzione. La verifica dell'equivoco dialettico, in cui è già incorso in passato questo Giudice di diritto, a cui altrimenti si rifa altrimenti il ricorso, dimostra la manifesta infondatezza della questione.

Questa Corte aveva difatti già ritenuto manifestamente infondata la questione di ille­gittimità costituzionale, proprio con l'affermazione che la giurisprudenza configura la preterintenzione come dolo misto a colpa (Cass. Sez. V, n. 2634/93, rv. 194325, cit).

Sennonché la difesa non ha osservato che, motivandola, tradisce l'equivoco spiegando che l'evento non si rapporta a responsabilità oggettiva, ma ad una prevedibilità di minimo profilo. In tal modo ammette implicitamente che non si è in presenza dei parametri \ posti dall'art. 43 circa il delitto colposo, che concernono l'intenzione diretta ad altro risultato della condotta, perciò contro l'evento. Ma non trae l'implicazione realistica che la prevedibilità dell'evento più grave è in caso di delitto preterintenzionale categoria irrilevante per la struttura dell'elemento psicologico, assorbita nel dolo di percosse o lesioni.

Orbene, l'art. 27 della Costituzione non trascura affatto che il disvalore del reato è segnato oltre che dal nesso di causalità tra condotta ed evento (art. 40 CP), dal rapporto dell'elemento psicologico con lo stesso evento (art. 43 CP).

E' quanto si evince dall'ordinanza 152/84 e dalla sentenza 364/88 del Giudice di legittimità (menzionate da Cass. 13114/02, cit.). In questi provvedimenti si afferma che l'art. 27/1 Costituzione, propugnando il principio di responsabilità personale, esclude quella per fatto di terzi (e perciò stesso già riconosce come centrale del sistema penale il rapporto causale dell'evento con la condotta dell'agente) e non contiene tassativo divieto di respon­sabilità oggettiva (art. 42 u. co. CP), perché il precetto va combinato quello di cui al com­ma con il 3° (che si occupa dell'emenda del reo). Per quanto interessa la responsabilità morale ai sensi dell'art. 584 CP, quest'ultima non rileva come concessiva perché, conclude il Giudice di legittimità, è l'insieme degli elementi costitutivi di ciascun reato a significarne la ragione di incriminazione ed il metro di punibilità.

Spetta dunque a questa Corte, per il suo compito nomofilattico, volto alla realizzazio­ne del diritto vivente, spiegare la ragione di incriminazione, e affermare che nel caso non entra minimamente in giuoco la responsabilità obiettiva, men che la colpa, bensì solo il do­lo di evento minore, che assorbe la prevedibilità dell'evento omogeneo più grave.

La ratio dell'art. 584 risulta insomma conforme al dettato costituzionale, in quanto si fonda sul rapporto dell'elemento psicologico di un delitto preveduto e voluto contro l'inco­lumità, con l'evento morte come conseguenza perciò stesso prevedibile della condotta.

3 - Passando alle questioni di premessa di fatto della sentenza impugnata, il 1° moti­vo è infondato, al di là della lettera della motivazione, che pure afferma: "la frattura è derivata non dalla caduta, ma dal violento calcio inflitto alla vittima già per terra". Questa frase a prima vista collega gratuitamente il trauma pelvico fratturativo, che immobilizzava l'arto inferiore sinistro della E., da cui è scaturita la morte, al calcio da lei ricevuto in terra a destra nell'inguine, come pure riferito (pag. 2).

L'asserto denuncia un travisamento, che è bensì evidente, ma irrilevante.

La frase difatti va letta nel contesto ricostruttivo, che riassume nella frase precedente a quella censurata, quanto esposto in dettaglio dalla sentenza di 1° grado, con il rilievo che se la donna (di età avanzata) "è caduta a seguito del parapiglia, tale parapiglia è stato cagionato dall'Imputati. Ed è incontestato dal ricorso che la H. l'aveva repentinamente percossa, afferrata per i capelli e strattonata, ed ha continuato nella sua azione violenta con calci, tra cui quello all'inguine, quando è caduta in terra 'nel parapiglia', seguito al ten­tativo delle altre donne presenti di fermarla nella sua azione violenta.

Ne segue per quanto interessa che la caduta, men che rapportabile a fatto di terzi, non è ritenuta estranea alla condotta dell'imputata dai Giudici di entrambi i gradi di merito, bensì dovuta proprio all'azione incriminata. Essi non hanno perciò rilevato alcun elemento di segno contrario idoneo ad escludere il nesso causale, posto che l'anziana persona offe­sa, prima di essere aggredita con violenza da lei e di cadere durante il 'parapiglia' sorto per fermarla, ovvero consecutivo all'azione, era seduta e sicura sulla panchina.

Pertanto il ragionamento complessivo si sottrae alla censura di manifesta illogicità (contraddittorietà o mancanza di motivazione che si voglia).

Resta l'ultima questione, secondo la quale la Corte di merito individuando, quale cau­sa dell'evento, un tipico atto diretto a ledere (art. 582 CP) e non invece, come corretta­mente avrebbe dovuto fare, un insieme di atti diretti ad indurre un altro soggetto a desi­stere da una condotta già oppressiva dell'offesa (art. 610 CP), ha ritenuto sussistente il reato di cui all'art. 584 CP, in luogo della fattispecie prevista e punita dall'art. 586 CP.

L'argomento è non consentito per l'implicazione di valutazione alternativa che pro­spetta in questa sede. Secondo la ricostruzione di fatto delle sentenze, l'intento offensivo dell'incolumità sino a livello di lesione è dimostrato dall'insieme della condotta violenta contro la persona, attestato a partire dallo schiaffo e dell'afferrare la donna per i capelli a finire proprio con quel calcio peraltro non unico, quale che fosse il movente della condotta.

Ed è anche manifestamente infondato. Se i Giudici di merito avessero ritenuto che l'agente aveva anche lo scopo rilevante di costringere l'offesa ad un non fare, si sarebbero trovati in presenza di concorso di reati, non alla necessità di qualificare diversamente lo stesso fatto, insopprimibili gli estremi di delitto di lesione in rapporto al più grave evento cagionato. Il richiamo all'art. 586 CP, posto a suffragio dal ricorso, perciò implica altro travisamento degli estremi di reato, stavolta non avallato da alcuna giurisprudenza.

p. q. m.

rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

Roma, 8 marzo 2006.

 

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