Io, Tungus N’Dur, quarantesimo abate emerito della Santa Chiesa di San Ajora, mi accingo a vergare queste parole, scritte a lume di candela nella mia stanza in questa notte piovosa.
Quivi mi accingerò a narrare dei fatti, degli eroi e della storia di Sotminoa, sperando che le mie parole siano di aiuto a quanti in futuro vorranno ripercorrere le tappe dello sviluppo della nostra gente.
Tutto iniziò all’incirca duemila anni fa, anche se non conosciamo la data precisa. In quel tempo, una carovana di nomadi varcò il passo montuoso che porta alle pendici della Sacro Altare, il gigantesco monte sotto il quale sorge la nostra beneamata città.

Ancora non sappiamo perché la carovana si stabilì qui, in questo luogo tutto sommato impervio, ma di sicuro qualcosa ha attratto l’interesse di quegli uomini.
Vi sono alcuni esimi studiosi che sostengono che nel luogo dove sorge oggi Sotminoa vi sia stata in passato una vena aurifera di proporzioni gigantesche, ora esaurita.
Sebbene la nostra terra sia ricca di minerali, questi egregi colleghi dimenticano forse un particolare fondamentale della storia, e cioè il fatto che il monte sulla cui base sorge la città è chiamato, per l’appunto, il Sacro Altare. Dai pochi scritti pervenuteci, custoditi nella biblioteca della Grande Abbazia, è chiaro che i nomadi trovarono QUALCOSA alle falde del monte, e che poi decisero di seppellire questa cosa nelle caverne tortuose che si addentrano in esso. Non è mai stato detto molto su questa reliquia, ma San Ajora afferma con precisione che ciò che i nostri antenati trovarono fu ciò che rimaneva dei resti di un Angelo del Dio senza nome, caduto durante la guerra contro gli abomini abissali.
Da uomo di Chiesa e da credente, non posso che credere che San Ajora dicesse la verità, altrimenti dovrei mettere in dubbio anche le rivelazioni di cui è stato oggetto.

Verità o leggenda, fatto sta che da allora l’ingresso alla montagna fu severamente proibito, e che fu creato il corpo sacerdotale dei Luttuosi, ancor presente oggi, affinché fosse posto a guardia dell’entrata della caverna. Risale anche a quel periodo l’usanza di cavare gli occhi e di strappare la lingua a chiunque fosse stato cosi avventato da curiosare all’interno della montagna.
Il villaggio ebbe nei seguenti 300 anni una fioritura inaspettata, e la popolazione aumentò di molte unità. Non coltivavamo allora molto il mestiere delle armi, dedicandoci all’estrazione mineraria ed eventualmente al lavoro della legna, che preleviamo ancor oggi dalle foreste che ci circondano.

La data del 2 A.R. (A.R. sta per “Ante Revelatio”, cioè Prima della Rivelazione) fu di importanza chiave per noi: infatti, risale a quel tempo (circa 1000 anni fa) il Grande Assedio.
Una banda di razziatori barbari, infatti, assetati di ricchezze e desiderosi di impossessarsi delle nostre miniere e di prendere le nostre donne, cinse d’assedio la nostra cittadina per tre anni, frenati solo dall’impervio territorio e dalla strenua resistenza dei nostri soldati, i quali con tattiche di guerriglia montana indebolivano i fianchi dell’esercito assediante. Ma nonostante tutto, non sembravamo in grado di resistere per sempre e il nemico avanzava ogni giorno di più. Fu la nostra ora più disperata e fu proprio allora che il Dio senza nome scelse Ajora come profeta.
San Ajora era un semplice minatore, originario di una famiglia che aveva vissuto una vita ad estrarre minerali da generazioni. Per due notti, Ajora fu visitato da un Angelo del Signore che gli parlò della Creazione e gli spiegò ciò che il Dio voleva da noi, suoi prescelti. Come prova della veridicità delle sue visioni, San Ajora mostrò al consiglio degli Anziani una piuma lasciata dall’Angelo, che ancor oggi custodiamo in una teca di oro e vetro al centro dell’Abbazia. In un batter d’occhio accantonammo gli antichi blasfemi dei della natura e ci convertimmo alla Vera Fede. San Ajora guidò una spontanea armata formatasi in preda all’entusiasmo e sbaragliò i nemici, perdendo però purtroppo la vita in battaglia.

Da allora, egli fu eletto Santo e la sua rivelazione fu seguita e ammirata da allora ad oggi. Il suo corpo riposa nell’Abbazia e ogni Autunno si ricorda la sua morte cospargendo la tomba di foglie secche, simbolo della sua vita prematuramente staccatasi dall’albero dell’Esistenza.
Sull’onda del furore religioso e forti dell’aiuto del nostro Dio, conducemmo una serie di guerre che ci assicurarono il dominio della zona in cui viviamo. Poco dopo la vittoria contro gli invasori, fu fondata la Chiesa di San Ajora, al cui capo io ho l’onore di essere, e che amministra la città con il benevolo aiuto del Dio. I Luttuosi, finora predisposti alla guardia dell’ingresso al Sacro Altare, furono incorporati nella Chiesa e da allora essi rivestono il doppio ruolo di guardiani – preti, adibiti alla difesa della città, alla diffusione della fede mediante la spada, e a cui solo i più devoti possono accedere.

Col passare del tempo, dopo aver assicurato la pace tra i monti, scegliemmo una vita sedentaria e isolazionista, non desiderosi di mischiarci alla plebe miscredente e soprattutto volendo stare alla larga dal mare e dai flutti, a causa delle orride creature che ivi dimorano. Tuttavia, in tempi recenti le generazioni più giovani hanno iniziato a viaggiare oltre i monti, e rotte commerciali sono state aperte con altri popoli, mentre alcuni tra i più pii si sono spinti in altre città per convertire gli eretici.

Questo, molto in breve, è il sunto della nostra storia scritto dalle mie stanche mani. Possa Iddio senza nome giudicarci degni di poter esistere leggendo queste righe.

Quadrigintus Abbas Emeritus Tungus n’Dur